Il congedo per cure è un diritto concesso ai lavoratori (pubblici e privati) con invalidità superiore al 50%.
La normativa di riferimento si rinviene oggi nell’art. 7 del D.Lgs. 119/2011, che si riporta di seguito:
1. Salvo quanto previsto dall’articolo 3, comma 42, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e successive modificazioni, i lavoratori mutilati e invalidi civili cui sia stata riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa superiore al cinquanta per cento possono fruire ogni anno, anche in maniera frazionata, di un congedo per cure per un periodo non superiore a trenta giorni.
2. Il congedo di cui al comma 1 è accordato dal datore di lavoro a seguito di domanda del dipendente interessato accompagnata dalla richiesta del medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica dalla quale risulti la necessità della cura in relazione all’infermità invalidante riconosciuta.
3. Durante il periodo di congedo, non rientrante nel periodo di comporto, il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. Il lavoratore è tenuto a documentare in maniera idonea l’avvenuta sottoposizione alle cure. In caso di lavoratore sottoposto a trattamenti terapeutici continuativi, a giustificazione dell’assenza può essere prodotta anche attestazione cumulativa.
4. Sono abrogati l’articolo 26 della legge 30 marzo 1971, n. 118, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5, e l’articolo 10 del decreto legislativo 23 novembre 1988, n. 509.
La disposizione di legge fatta salva nella norma (art. 43 comma 42 legge 537/93) abroga tutte le disposizioni «che prevedono la possibilità per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, di essere collocati in congedo straordinario oppure in aspettativa per infermità per attendere alle cure termali, elioterapiche, climatiche e psammoterapiche», facendo salvi i diritti, nel casi di specie, di cui all’art. 37 T.U. 3/1957, ovvero i congedi straordinari per le cure connesse allo stato di invalidità.
Con la normativa riportata, sono contestualmente abrogati:
- l’art. 26 legge 118/1971 (che prevedeva che «Ai lavoratori mutilati e invalidi civili cui sia stata riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa inferiore ai due terzi, può essere concesso ogni anno un congedo straordinario per cure non superiore a trenta giorni, su loro richiesta e previa autorizzazione del medico provinciale»);
- l’art. 10 del D.Lgs. 509/1988 (in base al quale «Il congedo per cure previsto dall’articolo 26 della legge 30 marzo 1971, n. 118, può essere concesso ai lavoratori mutilati e invalidi ai quali sia stata riconosciuta una riduzione della attitudine lavorativa superiore al 50 per cento, semprechè le cure siano connesse alla infermità invalidante riconosciuta»).
L’art. 7 del D.Lgs. 119/2011 è quindi la principale normativa di riferimento in materia, e prevede che, per i lavoratori con invalidità riconosciuta superiore al 50%, si possa fruire di un congedo annuale di massimo 30 giorni, anche frazionabili. La domanda va inoltrata al datore di lavoro insieme a richiesta del medico (di struttura pubblica o convenzionata con il SSN), e dovrà prodursi successivamente anche idonea giustificazione delle cure effettuate. Il trattamento corrisposto durante il periodo è quello di malattia, e non è computabile ai fini del comporto.
Le cure che danno luogo al diritto al congedo, come specificato anche dall’art. 37 del T.U. 3/1957, fatto salvo dalla normativa vigente, debbono essere connesse con lo stato di invalidità; a tale connessione deve fare riferimento la richiesta del medico al momento della richiesta.
Le modifiche della nuova legge
Con la legge del 2011 la materia, disposta l’abrogazione delle normative precedenti, viene regolata meglio. Soprattutto, l’art. 7 sopra riportato disegna il congedo come un vero e proprio diritto: si prevede infatti che lo stesso sia accordato dal datore di lavoro «a seguito di domanda» del lavoratore, mentre la normativa previgente prevedeva che lo stesso diritto potesse essere concesso, prefigurando così anche l’ipotesi di un rifiuto discrezionale (anche se un interpello del 2006 del Ministero Lavoro e Previdenza Sociale, come allora denominato, ne parlava anche in passato in termini di diritto subordinato alla sola effettività di determinati documenti e situazioni di fatto).
Inoltre, come ricorda il parere che vedremo di seguito, la normativa di riforma assimila il congedo ad una assenza per malattia, e soprattutto espressamente prevede che i singoli giorni di fruizione non siano computati nel periodo di comporto.
La normativa in questo caso riprende quanto affermato già dal Ministero Lavoro e Previdenza Sociale con l’interpello citato del 2006, che in via interpretativa aveva riconosciuto la non computabilità di questo tipo di congedo ai fini del comporto.
A questo proposito, ricordiamo che la non computabilità ai fini del periodo di comporto è propria anche delle gravi patologie e terapie salvavita, ovvero delle cause che impediscono (per i dipendenti pubblici) le decurtazioni per malattia. Rimane impregiudicato, e non affrontato dalla domanda oggetto dell’interpello che vedremo di seguito, se le decurtazioni per malattia operino durante il periodo di congedo per cure.
L’interpretazione del Ministero
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è di recente intervenuto sul tema del congedo per cure.
Nella risposta n. 10 dell’8 marzo 2013, resa ad una richiesta di interpello dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, il Ministero scioglie alcuni nodi relativi alla disciplina del congedo.
Le richieste infatti erano tese a conoscere:
- se l’indennità contemplata per i congedi per cure debba essere posta a carico del datore di lavoro oppure dell’INPS (vista la sua ascrivibilità alle assenze per malattia);
- se siano considerabili come unico episodio morboso di carattere continuativo le assenze imputabili a congedo per cure fruito in maniera frazionata.
Il Ministero ricorda a tale proposito quanto già previsto dalla Corte di Cassazione prima ancora della operatività della legge 119/2011, ovvero l’ascrivibilità all’assenza per malattia dell’assenza per fruizione del congedo per cure (es. Cassazione Civile, sez. lav. 3500/1984).
Specifica tuttavia l’interpello che il fatto della riconducibilità del congedo all’assenza per malattia «afferisce esclusivamente al meccanismo del computo dell’indennità», e che quindi, come già contenuto in un precedente interpello del 2006, l’indennità deve essere sostenuta dal datore di lavoro e non dall’INPS (anche per non onerare ulteriormente il bilancio pubblico, come stabilito dalla legge delega che ha dato l’avvio al decreto 119).
Per ciò che riguarda la fruizione frazionata, questa può intendersi, specifica il Ministero, come un solo episodio morboso di carattere continuativo, ai fini della esatta quantificazione del trattamento economico corrispondente.
Nota a margine: cos’è il diritto di interpello
Come sappiamo, già da molti anni il pubblico impiego verte in un regime privatizzato, o contrattualizzato, ed è quindi assimilabile al rapporto di lavoro privato.
Abbiamo assistito tuttavia negli ultimi anni ad una reviviscenza del carattere pubblicistico del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti a causa di numerosi interventi normativi (es. blocco del turn over e della contrattualizzazione, previsione di discipline del tutto peculiari, come in tema di assenze per malattia o divieto di monetizzazione delle ferie), che hanno posto non pochi dubbi sulla concreta operatività di una riforma che sembrava epocale.
A fronte quindi del proliferare (e dell’auto-riconosciuta valenza) dei pareri richiesti al Dipartimento Funzione Pubblica in tema di lavoro, ricordiamo il diritto di interpello al Ministero del Lavoro, valevole per tutti i lavoratori.
Si riporta di seguito l’art. 9 del D.Lgs. 124/2004, che lo prevede.
Diritto di interpello
1. Gli organismi associativi a rilevanza nazionale degli Enti territoriali e gli enti pubblici nazionali, nonché, di propria iniziativa o su segnalazione dei propri iscritti, le organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale e i consigli nazionali degli ordini professionali, possono inoltrare alla Direzione generale, esclusivamente tramite posta elettronica, quesiti di ordine generale sull’applicazione delle normative di competenza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale. La Direzione generale fornisce i relativi chiarimenti d’intesa con le competenti Direzioni generali del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e, qualora interessati dal quesito, sentiti gli enti previdenziali.
2. L’adeguamento alle indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti di cui al comma 1 esclude l’applicazione delle relative sanzioni penali, amministrative e civili.