La scuola continua ad essere nell’occhio del ciclone. È un fatto normale: dopo la previdenza e la sanità, è la voce che più pesa come rapporto spesa/pil. In un paese civile è giusto che sia così, la scuola è il servizio su cui si poggia la qualità di un paese.
Semmai il ragionamento deve essere fatto in termini di ritorno degli investimenti, e su questo fronte non è solo questione di soldi.
I docenti sono sempre più nel mirino dei poteri forti; in ultimo il presidente Monti con l’esternazione sulle due “orette” in più. Ma quale piano organico, trasparente, condiviso è stato fatto per richiedere al mondo della scuola ulteriori tagli e sofferenze?
I tagli ragionieristici non fanno bene, non aggrediscono l’area dello spreco (che pure esiste), ma colpiscono in maniera indiscriminata riducendo ancor di più le buone pratiche laddove esistono, appiattendo tutto il pianeta scuola su profili sempre più bassi e su una minore produttività.
Prima che contabile è un problema sociale. O si riesce ad incidere nelle coscienze dei cittadini l’equazione “scuola migliore = società migliore” oppure i docenti, il personale, le famiglie non riusciranno a comprendere in quale cornice inserire quelle che appaiono semplici e inutili riduzioni di spesa. E che comunque, ad oggi, non hanno migliorato significativamente il rapporto debito/pil.