Il diritto alle ferie per il dipendente, assicurato dall’art. 36 della Costituzione, garantisce il ristoro delle energie a fronte della prestazione lavorativa svolta; tale ristoro si rende nei fatti necessario anche a fronte dell’assistenza ad un invalido, che comporta un aggravio in termini di dispendio di risorse fisiche e psichiche.
Così ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con ordinanza 1 marzo – 8 giugno, n. 14187, intervenendo sul caso di un lavoratore al quale erano stati decurtati due giorni di ferie annuali per avere fruito di permessi per assistere un familiare con disabilità grave.
Con sentenza del 9/06/2011 la Corte di Appello di Roma aveva riformato la sentenza del Tribunale di Roma, dichiarando illegittima la decurtazione di due giorni di ferie annuali in conseguenza del godimento dei permessi concessi ex art. 33 della Legge n. 104/1992 e condannato il datore di lavoro ad accreditare all’appellante quattro giorni di ferie relative agli anni 2004 e 2005, compensando tra le parti le spese del giudizio. Il datore di lavoro ha così proposto ricorso in Cassazione.
La Suprema Corte, nel decidere in merito alla questione, ha ricordato che i permessi per l’assistenza ai portatori di handicap poggiano sulla tutela dei disabili predisposta dalla normativa interna e in primis dagli artt. 2, 3, 38 Cost. – ed internazionale – quali sono la Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27/11/2000 e la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ratificata e resa esecutiva in Italia con Legge 3/03/2009, n. 18.
In particolare, la Convenzione ONU prevede il sostegno e la protezione da parte della società e degli Stati non solo per i disabili, ma anche per le loro famiglie, ritenute strumento indispensabile per contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità.
Inoltre, la stessa Corte, nel decidere una analoga controversia relativa alla computabilità di detti permessi ai fini della tredicesima mensilità, ha ritenuto che «la limitazione della computabilità [...] dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, [...], opera soltanto nei casi in cui essi debbano cumularsi effettivamente con il congedo parentale ordinario – che può determinare una significativa sospensione della prestazione lavorativa – e con il congedo per malattia del figlio, per i quali compete un’indennità inferiore alla retribuzione normale (diversamente dall’indennità per i permessi ex lege n. 104 del 1992 commisurata all’intera retribuzione), risultando detta interpretazione idonea ad evitare che l’incidenza sulla retribuzione possa essere di aggravio della situazione dei congiunti del portatore di handicap e disincentivare l’utilizzazione del permesso.» (cfr. Cass. 7/07/2014 n. 15345).
Per la Cassazione, il giudice di appello ha giustamente ritenuto che nel caso specifico i permessi, accordati per l’assistenza al genitore portatore di handicap, concorressero nella determinazione dei giorni di ferie maturati dal lavoratore che ne ha beneficiato.
Per tale ragione, la funzione dei permessi e con i principi indicati dalle norme attualmente vigenti impongono l’interpretazione della disposizione maggiormente idonea ad evitare che l’incidenza sull’ammontare della retribuzione possa portare ad una riduzione dello stipendio dei congiunti del familiare disabile, tale da disincentivare l’utilizzazione del permesso stesso. Soluzione quest’ultima che peraltro trova conforto nel parere n. 3389 del 9/11/2005 del Consiglio di Stato, richiamato dalla stessa Corte d’appello.
In conclusione, la Cassazione ha dato ragione al lavoratore, compensando però tra le parti le spese del giudizio di legittimità.