La guerra non si placa e anche la pandemia stenta ad abbandonarci.
Mi sono già soffermato sulle implicazioni di ordine psicologico che l’attuale momento storico comporta nelle menti e nel morale delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi.
Potrebbe essere questa la lettura da dare ad un fenomeno che in questi ultimi tempi si è fortemente acuito e che impensierisce sia le forze dell’ordine sia chi opera nel campo dell’educazione e della formazione: genitori e insegnanti. Mi riferisco alla criminalità minorile, gruppi di ragazze e ragazzi (bande) che vandalizzano, picchiano, rapinano.
Certamente concorre a questo fenomeno l’aumento della povertà economica e sociale. La pandemia e ora la guerra stanno infatti contribuendo alla crescita del numero di famiglie che perdono il reddito per licenziamento, o lo vedono fortemente ridimensionato dall’inflazione.
Cosa occorre fare, dunque, per limitare le cause che sono alla radice del problema della criminalità minorile?
Certamente il compito della politica in questo frangente non è semplice. Prima di tutto occorre agire sul lavoro, aumentando le tutele di chi ce l’ha e creando occasioni di impiego per chi lo sta cercando. Occorre poi ragionare in termini di redistribuzione del reddito, attraverso manovre fiscali che aiutino chi si trova nella parte bassa dei redditi annui. Bisogna agire sul cuneo fiscale in modo che, pur non appesantendo le aziende sugli oneri per il personale, comporti un netto maggiore in busta paga.
E le scuole? Anche loro possono e devono intervenire sul mondo giovanile, in particolare in quei territori dove più è presente il fenomeno della criminalità minorile, attraverso progetti di “scuola aperta”, sportelli di ascolto, progetti di coinvolgimento dei ragazzi per toglierli dalla strada e riportarli ai valori naturali che anche la scuola, dopo le famiglie, deve provvedere ad instillare in loro.