Il nuovo esecutivo che si è formato a Palazzo Chigi è figlio di una tormentata stagione politica.
Al netto delle dichiarazioni, è evidente, anche sulla base delle consultazioni elettorali che si stanno svolgendo, che i partiti che formano l’attuale Governo hanno una sola via per riaffermarsi rispetto ai partiti dell’opposizione: devono necessariamente convincere gli italiani, con fatti concreti, di essere capaci di esprimere linee programmatiche e di governo che siano in grado di riportare l’Italia alla crescita.
Il documento di finanza pubblica che viene variamente illustrato in questi giorni probabilmente esprime il massimo che si può pretendere, data la situazione di debito pubblico in cui versiamo e il gap etico che ci pone ai primi posti per evasione e corruzione.
La verità è che occorre una stagione politica stabile che garantisca a chiunque governi l’intera legislatura per poter affrontare i problemi con il lasso temporale necessario per porvi rimedio.
La Scuola, in questa situazione, dovrebbe essere – insieme alla Sanità – il comparto ove investire con maggiore convinzione. Abbiamo un corpo docenti con l’età media tra le più alte in Europa e un tasso di precarizzazione vicino al 25%. I dati OCSE non sono confortanti ma, ciò nonostante, sforniamo eccellenze nel campo tecnologico e umanistico che il mercato del lavoro interno non è in grado di assorbire in maniera dignitosa.
Siamo di fronte ad una nuova ondata migratoria che, a differenza degli inizi del 900, non porta via i giovani meno preparati culturalmente ma le migliori menti. È un autogol sopportare i costi di una preparazione eccellente e poi farsela portare via da un altro paese.
Sia ben chiaro. Io sono favorevole ad una preparazione internazionale che consenta poi ai giovani di scegliere il paese dove esercitare; ma appunto scegliere, non vederselo imposto da mancanza di alternative nazionali.
In definitiva, oggi, investire sulla scuola è una necessità trasversale per garantire all’Italia un futuro migliore.