Negli ultimi anni il panorama scolastico, in stretto rapporto con le vicende economiche e politiche che attraversano il nostro Paese, si caratterizza con sempre maggiore evidenza come un processo continuo di proposte, mutamenti, revisioni, ripensamenti e nuove versioni delle proposte, precedute o meno da sperimentazioni.
La continua tendenza al cambiamento, che in molti casi non conduce alla stabilità delle scelte, comporta – tra le varie conseguenze – l’intensificarsi di uno dei problemi più gravi che si evidenziano nella quotidianità dell’operare di Docenti e Dirigenti delle Istituzioni scolastiche: la crescente conflittualità nei rapporti scuola-famiglia.
Si riscontra, da parte dei genitori degli alunni, un’aumentata richiesta di chiarezza in merito alle azioni e alle responsabilità della scuola. Tale esigenza non è, tuttavia, accompagnata da una generalizzata consapevolezza delle famiglie di essere comunque costantemente uno dei due soggetti portanti (e quindi responsabili) del percorso educativo del proprio figlio, fuori ma anche dentro la scuola.
Eppure, tale condizione dovrebbe essere ben descritta nel “Patto educativo di corresponsabilità” (d’ora in poi denominato “Patto”) che ciascuna Istituzione Scolastica ha elaborato a seguito del D.P.R. 21/11/2007, n. 235 e che viene firmato per la prima volta dai responsabili dell’obbligo scolastico contestualmente all’iscrizione nella scuola secondaria di I grado.
Il Patto, la Carta dei servizi e il Regolamento scolastico
Volendo condurre un’analisi di finalità e funzioni del Patto, va evidenziato in primo luogo che esso si basa sul principio fondamentale della trasparenza, che sembra rispondere alla sopra indicata esigenza di chiarezza da parte dell’utenza.
La trasparenza come sinonimo di chiarezza implica la fornitura di indicazioni oggettive e fruibili nella definizione di procedimenti.
Sembra indispensabile, a questo punto, evidenziare lo stretto legame tra il Patto e altri due documenti che l’organizzazione scolastica mette a disposizione delle famiglie: la Carta dei servizi istituita dal D.P.C.M. 7/06/1995 (pubblicato sulla G.U. n. 138 del 15/06/1995) e il Regolamento scolastico di disciplina degli alunni.
Per quanto riguarda in particolare il Regolamento, esso si collega al Patto soprattutto per alcuni contenuti essenziali, che debbono risultare presenti e agilmente rintracciabili:
- comportamenti che configurano mancanze disciplinari;
- sanzioni previste;
- organi competenti ad irrogarle;
- relativi procedimenti.
Queste informazioni, così come quelle relative alla valutazione del comportamento degli alunni, sono d’indubbio interesse per l’utenza, che si aspetta, inoltre, che nel Patto siano descritte anche alcune norme di comportamento (già presenti nella Carta dei Servizi) che sia i docenti sia, in generale, l’Istituzione Scolastica deve mettere in atto a tutela di alcuni diritti (es. a livello di comunicazione/informazione).
Le suddette norme e la correttezza in merito alla loro applicazione costituiscono in molti casi la base di discussione in occasione di contenziosi.
Ad esempio, il TAR, Friuli Venezia Giulia – Trieste, sez. I, nella recente sentenza del 12/10/2017 n. 312, ha stabilito la fondatezza di un ricorso per non ammissione alla classe successiva attribuendo all’Istituzione scolastica nelle persone dei suoi rappresentanti «eccesso di potere per violazione del POF – Piano dell’Offerta Formativa per il triennio 2016-2017/2018-2019 e del Patto di corresponsabilità educativa, per violazione degli obblighi di comunicazione».
La trasparenza, peraltro, non dovrebbe (almeno in questa sede) essere intesa come “potere a senso unico” dell’utente di esercitare un controllo o di tutelarsi in occasione di episodi di conflittualità: la corretta applicazione di regole, infatti, andrebbe correlata con la visione del Patto in termini di “contratto” tra scuola e famiglia, che vincola, con la sua sottoscrizione, anche le famiglie, fin dal momento dell’iscrizione, a rispondere dei risultati dell’azione educativa.
Di fatto, le “culpe” (in vigilando e in educando) tra docenti e genitori sono di natura solidale e non tra loro alternative e la sottoscrizione del Patto da parte degli esercenti la patria potestà dovrebbe quantomeno essere accompagnata dalla consapevolezza dell’assunzione di responsabilità educativa che grava sulla famiglia nel comportamento del figlio a scuola.
Le responsabilità della famiglia
Scendendo sul piano concreto, le famiglie dovrebbero essere rese coscienti del fatto che, in sede di un eventuale contenzioso giudiziario, le responsabilità connesse all’educazione dei figli non sono da ritenersi automaticamente escluse quando il minore è affidato alla vigilanza del personale della scuola.
Tali responsabilità si definiscono nell’interpretazione della disciplina prevista nell’art. 2048 c.c.: nei casi in cui il proprio figlio sia autore di danni a persone o cose in conseguenza di comportamenti scorretti e violenti, i genitori possono essere chiamati a dimostrare di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza adeguata, in conformità alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere e all’indole del minore.
Una Sentenza della Corte di Cassazione (Sez. Civ. Sez. III n. 1251/2000) ha chiarito che, in caso di evento dannoso commesso da un minore affidato alla custodia degli insegnanti, anche se può sussistere, per questi ultimi, la culpa in vigilando, la famiglia non è esonerata dalla culpa in educando: al fine di liberarsi da responsabilità per il fatto compiuto da minore in un momento in cui lo stesso si trovava soggetto alla vigilanza di terzi i genitori, si ribadisce, sono tenuti a dimostrare sia di aver educato adeguatamente il minore a prevenire comportamenti illeciti, sia di essersi accertati che il minore abbia assimilato l’educazione ricevuta.
I contenuti del Patto
Tornando all’utilizzo del Patto da parte dei responsabili dell’obbligo scolastico, appare evidente che lo stesso non dovrebbe limitarsi ai soli aspetti sin qui descritti.
Purtroppo, come spesso accade nella scuola (e non solo), alcuni principi educativi definiti nel Patto che scuola, famiglia e alunni dovrebbero condividere e impegnarsi a rispettare, assumono la veste di semplici enunciazioni e vengono vissuti come “parole di carta”, scritte per adempiere ad un dovere formale.
Esaminando un certo numero di Patti sottoposti alle famiglie dalle Istituzioni scolastiche all’atto dell’iscrizione si rintracciano, infatti, contenuti destinati a non diventare elementi di attenzione e di valutazione delle situazioni concrete che ci si trova ad affrontare.
Frasi come «favorire il dialogo, la collaborazione, la cooperazione, il rispetto», «ricercare ed adottare uno stile educativo comune», «vivere quotidianamente la scuola come una comunità», «promuovere la realizzazione di ambienti di apprendimento», o anche «costituire un esempio positivo per il/la figlio/a sul piano del rispetto dei ruoli delle diverse componenti della scuola», pur indicando linee educative essenziali, sembrano non tornare utili nel momento in cui ci si trova a discutere su un episodio critico nel percorso scolastico di un alunno.
Per assurdo, la citazione di principi educativi come «la lotta ad ogni forma di pregiudizio e di emarginazione» ha portato alcuni “gruppi d’interesse” di genitori a lanciare una campagna contro la firma del Patto.
Tali movimenti hanno diffuso, infatti, l’interpretazione secondo la quale – essendo stata introdotta dall’art. 16 della Legge 107/2015 l’educazione sessuale nelle scuole secondo le direttive OMS/UE – con la firma del Patto si richiederebbe alle famiglie di assumersi la responsabilità di far impartire ai propri figli un insegnamento sessuale indottrinandoli con ideologie gender camuffate sotto le spoglie di “progetti per le pari opportunità”, “contro il bullismo” ecc.
Quanto al valore essenzialmente formale di alcuni aspetti del Patto, non si può fare a meno di osservare che anche da parte di molti operatori scolastici tale documento non viene vissuto come punto di partenza per un’analisi della propria professionalità.
Ciò dipende dal fatto che, anche nel caso delle norme di comportamento dei docenti, in genere nei Patti prodotti dalle Istituzioni Scolastiche molti impegni citati (anche formulati seguendo le indicazioni del MIUR) rappresentano delle dichiarazioni di principio («Fornire con il comportamento in classe esempio di buona condotta ed esercizio di virtù», «Promuovere in ogni occasione il dialogo, con il singolo studente e con il gruppo classe», «Promuovere un clima di collegialità e collaborazione all’interno del corpo docente», «Dedicarsi con regolarità e passione all’attività della tutoria», ecc.) che non trovano riscontro diretto nella quotidianità operativa.
Il Codice di comportamento e il Codice deontologico dei docenti
A proposito di comportamenti, altri sono i riferimenti che vengono presi in considerazione dal corpo docente: si può senz’altro affermare, ad esempio, che una notevole percentuale di insegnanti è a conoscenza del Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al Decreto 28/11/2000 (pubblicato sulla G.U. n. 84 del 10/04/2001), anche perché è fatto obbligo al Dirigente scolastico di renderlo pubblico, accertandosi che tutto il personale ne prenda visione.
Non ha mai ottenuto, invece, reale interesse la questione inerente il Codice deontologico dei docenti, anche perché il codice stesso (alla stregua di tutti i codici etici) non potrebbe essere considerato una fonte normativa pubblica. A comprova di ciò, si cita ad esempio il Codice adottato dai Magistrati del Consiglio di Stato, nel quale si auspica l’adesione spontanea alle regole nella consapevolezza che la violazione alle stesse non può essere sanzionata.
Volendo fornire ancora qualche precisazione in merito al Codice Deontologico dei docenti, vale la pena di ricordare che lo stesso rientra nella più ampia riflessione riguardante la questione della “professionalizzazione” dell’insegnamento, questione già posta all’attenzione di quanti gravitano nel mondo della scuola nel lontano 1966 con la “Raccomandazione sullo status degli insegnanti”. Tale documento, prodotto dall’UNESCO, richiamava l’attenzione sugli aspetti non esclusivamente “tecnici” della professione docente ma, piuttosto, legati al «senso di responsabilità individuale e collettiva nei confronti dell’educazione e del benessere degli allievi» (art. 6).
Molti anni più tardi – per la precisione nel novembre 2001 – una Commissione, nominata ad hoc dall’allora Ministro della Pubblica Istruzione Letizia Moratti, ha ricevuto l’incarico di «definire criteri per un codice deontologico del personale della scuola che consenta alla categoria di veder tutelata la propria dignità, sia personale che professionale, anche al fine di potenziare la qualità del sistema scolastico».
La deontologia professionale non consiste, quindi, in una limitazione della libertà d’insegnamento conseguente al dovere (quantomeno “morale”) da parte dei docenti di adeguarsi a regole comportamentali. Si tratta, invece, di un percorso collegiale di ricerca di risposte adeguate ai problemi che si devono affrontare nell’esercizio della propria professione, tutelando, nel contempo, la professione stessa ed i singoli soggetti che la esercitano.
I doveri di scuola e famiglia
Dalle considerazioni sin qui condotte si deduce che il Patto da un lato non dovrebbe essere (per le parti coinvolte) un semplice strumento da utilizzare in un contenzioso e che, d’altro canto, la sua efficacia non possa essere ricercata nell’enunciazione dei cosiddetti “principi”.
È appena il caso di sottolineare che nel Patto sono elencati comunque, in modo più oggettivo, comportamenti che rimandano a doveri che costituiscono la base di un rapporto efficace tra le parti.
Per ciò che concerne i genitori degli studenti, non è generica, ad esempio, la richiesta presente nella quasi totalità dei Patti di tenersi aggiornati su impegni, scadenze, iniziative scolastiche, controllando costantemente le comunicazioni scuola-famiglia, nonché di far rispettare l’orario d’ingresso a scuola, di giustificare in modo plausibile le assenze, di verificare attraverso un contatto frequente con i docenti che lo studente segua gli impegni di studio e le regole della scuola.
Sul versante dei doveri a carico del personale docente, in ogni Patto sono peraltro descritti con chiarezza alcuni obblighi come essere puntuali nella consegna delle prove corrette, assicurare agli alunni un adeguato numero di verifiche, orali e scritte, distribuite in modo opportuno nel corso del quadrimestre, informare con tempestività i genitori in caso di assenze ingiustificate e/o comportamenti scorretti degli alunni ecc.
Tuttavia, affinché il Patto diventi effettivamente uno strumento utile in quanto in grado di realizzare quell’auspicabile “alleanza educativa”, esso non può limitarsi ad essere neppure un descrittore di diritti e doveri riferiti a singoli ruoli.
Le Linee di indirizzo del MIUR
Al fine di rintracciare alcuni elementi atti a rendere il Patto realmente funzionale al rapporto scuola-famiglia sembra utile rimandare alla comunicazione del MIUR Prot. AOODGOS n. 3214 del 22/11/2012 contenente le linee di indirizzo sulla “Partecipazione dei genitori e la corresponsabilità educativa”.
Nelle suddette Linee d’indirizzo si evidenzia il concetto di partecipazione dei genitori alla vita della scuola, come già indicato nella Costituzione (artt. 30, 33 e 34) e successivamente definito dal D.P.R. 416/1974.
Tale concetto, escludendo un atteggiamento oppositivo o di controllo dell’operato della scuola da parte delle famiglie, sembra non assegnare alle stesse un ruolo genericamente propositivo come appariva essere, di fatto, nei primi anni di applicazione dei cosiddetti Decreti Delegati.
Dal lontano 1974 ad oggi la partecipazione attiva delle famiglie alla vita della scuola ha avuto una notevole evoluzione che ha portato, tra l’altro, alla costituzione di organismi rappresentativi a carattere locale e nazionale, come il FoNAGS (Forum Nazionale delle Associazioni dei Genitori della Scuola), che ha fornito un contributo essenziale nella redazione delle Linee d’indirizzo sopra citate.
Queste ultime riportano ad un concetto essenziale di cui tener conto: la corresponsabilità educativa non deve essere “sancita” ma “esercitata”. E non solo: «all’interno della scuola». Cosa significa? Le Linee d’indirizzo in tal senso parlano di individuazione, in ogni Istituto, nella sua autonomia, di «procedure interne indispensabili a favorire la massima condivisione e collaborazione nella redazione della proposta da sottoporre alla firma dei singoli genitori».
In altre parole, l’Istituzione scolastica deve organizzare occasioni di incontro e gruppi di lavoro misti genitori/docenti per la costruzione condivisa di un sistema di regole.
L’importanza della condivisione
Si suppone che la scarsa attenzione riservata in genere al Patto dipenda anche in gran parte dal fatto che, nella stragrande maggioranza dei casi, lo stesso non viene condiviso secondo un percorso idoneo a coinvolgere effettivamente e non formalmente tutte le componenti in gioco.
Il documento, sin dai suoi esordi, dovrebbe infatti essere (ovvero essere stato) il frutto di un lavoro collettivo portato avanti soprattutto dagli organi collegiali (o dipartimenti degli stessi): in particolare, è il Consiglio di Istituto, in cui sono rappresentate tutte le componenti, l’organo competente ad elaborare, modificare e approvare il Patto, il cui testo è connesso al Regolamento d’Istituto.
Probabilmente, in molti Istituti la costruzione iniziale del Patto non è stata una semplice operazione di trascrizione con piccoli adattamenti della proposta formalizzata dal MIUR, ma è stato effettivamente il frutto di un’analisi condivisa tra docenti e genitori di una serie di aspetti relativi alla gestione dell’Istituzione scolastica.
Tuttavia, negli anni successivi, nella grande maggioranza delle medesime Istituzioni, sulle quali si è riversata una molteplicità di adempimenti e scadenze, probabilmente non è stata organizzata e condotta una riflessione collegiale costante sui contenuti e gli scopi del documento, analizzando solo alcune specifiche questioni (es. la prevenzione del bullismo).
Anche l’azione informativa che la Scuola dovrebbe promuovere a favore delle famiglie per una conoscenza dei contenuti e delle finalità del Patto è risultata, in questi ultimi anni, piuttosto debole o addirittura inesistente.
In tal modo, la firma del documento può anche essere stata vissuta, per il genitore, come un gesto privo di reale significato: una delle tante firme da apporre per poter iscrivere il proprio figlio a scuola.
Come fare, quindi, per riprendere il dialogo?
Come prima indicazione, suggeriamo alle famiglie di ricevere (o riprendere in mano) il documento controfirmato all’atto dell’iscrizione cercando di rintracciare nello stesso gli elementi che possono fornire indicazioni utili ad instaurare un proficuo rapporto tra scuola e famiglia.
Agli operatori scolastici sembra invece opportuno consigliare in primo luogo una riflessione su quegli aspetti relazionali che, anche se non soggetti a logiche contrattuali in senso stretto, determinano, a livello di competenza professionale, la qualità della propria azione educativa.
Ai Dirigenti scolastici spetta, infine, il compito di predisporre azioni collegiali utili a rinverdire l’interesse, da parte di tutte le componenti scolastiche, per la conoscenza delle norme e la revisione dei documenti relativi a questo ambito.
Tutto ciò, in attesa che il tavolo tecnico recentemente istituito dall’attuale Ministro della Pubblica Istruzione elabori le nuove indicazioni per la costruzione del Patto, che da “Educativo di Corresponsabilità” diventerà “di Corresponsabilità Educativa”, definendo in modo più netto il rapporto da instaurare tra scuola e famiglia.