L’assegnazione dei docenti alle classi è competenza del Dirigente scolastico ed esige in via generale il rispetto dei criteri stabiliti dal Consiglio di circolo o di istituto, tenendo conto delle proposte del Collegio dei docenti. L’iter per giungere alla definizione dei criteri comporta però il passaggio, in successione temporale, prima dal consiglio di istituto che ha potere deliberante e successivamente dal Collegio che ha potere propositivo.
L’atto di assegnazione è comunque di natura gestionale: il Dirigente può discostarsi dai criteri stabiliti in sede collegiale, e non sussiste sempre obbligo di motivazione sulle decisioni adottate.
La normativa di riferimento
Benché la Riforma Brunetta (D.Lgs. 150/2009) abbia modificato il T.U. sul pubblico impiego (D.Lgs. 165/2001), per quanto concerne l’assegnazione dei docenti alle classi vige ancora quanto stabilito negli artt. 164 e 396 del D.Lgs. 297/1994, rubricati rispettivamente “Formazione delle classi” e “Funzione direttiva”.
L’atto di assegnazione dei docenti alle classi, di natura privatistica, rientra nella categoria dei poteri gestionali e organizzativi per effetto degli artt. 5 e 25 del D.Lgs. 165/2001 (“Potere di organizzazione” e “Dirigenti delle istituzioni scolastiche”), e compete al Dirigente, il quale è tenuto però a rispettare, in via ordinaria, quanto regolato nel Decreto 297/1994. Tale atto deve essere disposto sulla base dei criteri generali stabiliti dal consiglio di istituto e delle proposte del Collegio dei docenti. In questo ambito, le determinazioni dirigenziali sono quindi sottoposte, tranne in alcuni casi, al rispetto di quanto fissato e proposto dai due organi collegiali, richiamati dalla norma citata.
Il ruolo degli organi collegiali e l’iter corretto da seguire
Tra le attribuzioni del consiglio di istituto, enumerate nell’art. 10 del D.Lgs. 297/1994, al comma 4 si evince che detto organo «indica [...] i criteri generali relativi alla formazione delle classi e all’assegnazione ad esse dei singoli docenti».
L’art. 7 dello stesso decreto stabilisce che il Collegio «formula proposte al direttore didattico o al preside per la formazione, la composizione delle classi e l’assegnazione ad esse dei docenti».
Il D.Lgs. 297/1994 specifica quindi a priori la procedura corretta da seguire per giungere alla definizione dei criteri. Peraltro come ben sottolineato dal giudice del lavoro di Agrigento nella sentenza n. 2778 del 3/12/2003, «la norma prevede, in successione temporale e logica, che l’assegnazione dei docenti alle classi da parte del Dirigente scolastico avvenga sulla base di criteri generali stabiliti dal consiglio d’istituto e delle susseguenti proposte fatte dal collegio dei docenti».
Non appena attuati tali adempimenti, i criteri delineati costituiscono infatti per il Dirigente scolastico la norma interna all’istituzione per proseguire nell’assegnazione dei docenti alle classi, fermo restando la possibilità per lo stesso di esprimere il proprio dissenso sulle proposte collegiali al momento di approvazione della delibera dei criteri. È consuetudine inserire detti criteri all’interno del Regolamento di istituto, adottato in ogni scuola, ai sensi dell’art. 10, comma 3, lett. a del D.Lgs. 297/1994.
Sull’obbligo di motivazione dell’atto di assegnazione dei docenti alle classi
Di certo il condizionamento del Dirigente scolastico ai criteri non è assoluto, potendo quest’ultimo discostarsene laddove ci siano elementi oggettivi che ne impediscano il rispetto.
Nella citata sentenza del Tribunale di Agrigento il giudice ha sostenuto infatti che in ordine alle decisioni adottate dal Dirigente sarebbe stata opportuna «la sussistenza di una adeguata motivazione al fine di rendere edotto il destinatario del provvedimento dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla decisione [...] necessaria soprattutto nei casi in cui il provvedimento adottato preveda soluzioni diverse da quelle preesistenti e consolidate, e ciò in ossequio al principio fondamentale di buona fede e correttezza contrattuale ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c.». Da ciò il giudice ha ricavato che «nel caso di specie tale obbligo di motivazione non può ritenersi, invece, adeguatamente soddisfatto al momento dell’adozione del provvedimento»; di conseguenza l’atto di assegnazione dei docenti alle classi, nella sentenza succitata, veniva non già disapplicato ma annullato.
Di parere uguale è anche la Sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 145/1995 che ha indicato il principio dell’obbligo di motivazione, nel caso in cui il Dirigente scolastico si discosti dai criteri approvati; la massima giurisprudenziale così afferma: «a norma del d.P.R. 31 maggio 1974 n. 417 art. 3 l’assegnazione delle classi al personale docente è disposta dal capo d’istituto secondo i criteri stabiliti dal consiglio di circolo o d’istituto, su proposta del collegio dei docenti, ferma la potestà del capo d’istituto di discostarsi dagli stessi criteri motivatamente, nella considerazione, oltre che dell’anzianità di servizio, della disponibilità dei docenti, delle rispettive situazioni familiari e abitative».
Però sull’obbligo di motivazione di contrario avviso è la Sentenza del Consiglio di Stato n. 953 del 15/02/2002; il Ministero della Pubblica Istruzione proponeva un ricorso in appello per chiedere l’annullamento della Sentenza n. 9418 del 15/11/2000, emessa dal TAR Lazio, sez. III-bis; in questo caso il primo giudice aveva riconosciuto alla ricorrente che si era appellata, la carenza di motivazione nel provvedimento del Dirigente scolastico di assegnazione dei docenti alle classi. Il giudice del TAR si era espresso sostenendo che «il provvedimento impugnato è carente di motivazione, e le ragioni, addotte “tardivamente” dal Preside per giustificare l’assegnazione, non sono sorrette da circostanze puntuali per fatti e proposte». Al contrario, il giudice di secondo grado ha accolto il ricorso del Ministero e in risposta della sentenza impugnata ha così concluso: «l’assegnazione delle classi ai singoli docenti – come statuito da questa Sezione (ved. C.S., sez. VI, n. 608 del 24/08/1992) – non comporta la necessità di una motivazione, trattandosi di un atto rimesso al potere organizzatorio del Preside». Dello stesso avviso è la Sentenza del Consiglio di Stato n. 1765 del 15/01/2002 che così riporta: «ai fini dell’assegnazione della classe, [...] non acquista specifica rilevanza la questione riguardante la motivazione, prospettata dall’appellante».
Il rispetto dei criteri non è tassativo
La lettura delle sentenze succitate permette di introdurre la questione relativa al rispetto dei criteri da parte del Dirigente scolastico che non è in ogni caso tassativo.
Deve ritenersi utile per tale questione riprendere il testo della sentenza n. 953 del 2002, nella quale il giudice di secondo grado ha ritenuto la statuizione del giudice di primo grado «ispirata ad un eccessivo rigore formale, che sembra privilegiare la “stabilità” dell’insegnante piuttosto che l’interesse degli alunni, ai quali deve essere garantito che l’insegnamento si svolga in un clima privo di tensioni».
Tale affermazione si pone perciò a tutela del diritto di apprendimento degli alunni che è prioritario rispetto alla stabilità del docente nella classe, nel caso in cui si vengano a creare delle situazioni di incompatibilità, permettendo così al Dirigente scolastico la possibilità di discostarsi dai criteri stabiliti dal consiglio di istituto, in virtù anche dell’art. 25 del D.Lgs. 165/2001 che assegna al Dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento, di valorizzazione delle risorse umane, nel rispetto delle competenze collegiali e il compito di assicurare la qualità dei processi formativi e di attuare il diritto all’apprendimento da parte degli alunni.
In riferimento a ciò anche la continuità didattica del docente nelle classi può essere ignorata dal Dirigente scolastico per ovvi motivi di tutela del diritto degli alunni ad apprendere, e qualora sussistano motivi di incompatibilità causati da situazioni di conflittualità del docente all’interno di una classe – trasferendolo per esempio ad altro plesso dell’istituto, senza tuttavia determinare provvedimenti disciplinari.
È il caso della sentenza della Cassazione Civile, Sezione Lavoro, n. 28282 del 31/12/2009, nella quale un docente avendo adito il giudice del lavoro per un trasferimento ad altro plesso, disposto dal Dirigente scolastico, aveva riconosciuto in tale atto un provvedimento di carattere paradisciplinare «adottato senza previa contestazione di addebito, con lesione della sua dignità professionale». Al contrario la Suprema Corte aveva ravvisato nel comportamento del Dirigente scolastico elementi non censurabili, in quanto quest’ultimo aveva agito per ottemperare ad «una situazione di tensione venutasi a creare tra il docente ed i genitori degli alunni nel plesso scolastico di provenienza. Il Dirigente scolastico si era pertanto correttamente valso dei poteri discrezionali in materia di organizzazione del servizio riconosciuti dalla contrattazione decentrata di istituto, adottando un provvedimento con cui aveva soddisfatto le esigenze di buon funzionamento del plesso scolastico interessato».
A nulla è valso il richiamo del ricorrente alla «violazione della normativa dell’ordinamento scolastico, che nella specie avrebbe imposto l’applicazione del D.P.R. 16 aprile 1994, n. 297, artt. 468 e 469, recante il T.U. delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione e relative alle scuole di ogni ordine e grado».
In ordine all’adozione del provvedimento del Dirigente scolastico, il giudice della Cassazione lo ha giustificato mettendo in risalto i poteri organizzativi spettanti alla dirigenza, nel caso in cui sussistano motivi di disagio ambientale. I poteri gestionale e organizzativo si rivelano quindi speculari alle esigenze di servizio.
La scelta dei criteri non è vincolante
In genere tra i criteri adottati nelle delibere collegiali prevalgono la continuità didattica, l’anzianità di servizio e il criterio della rotazione nelle classi, fatto salvo il principio che essi per il Dirigente scolastico non sono vincolanti.
Infatti in ordine alla continuità didattica, secondo il giudice del Tribunale di Potenza, essa è «un bene da tutelare nei confronti degli utenti della scuola e non dei docenti» (n. 1206/2012). Per tali motivi, come già detto, nella sentenza n. 28282/2009 Cassazione Civile, Sezione Lavoro, il giudice ha ritenuto che esista in capo al Dirigente scolastico la possibilità di intervenire anche nello spostamento di un docente ad altro plesso qualora si profili una «situazione di forte conflittualità tra il docente ed i genitori dei suoi alunni», ricorrendo appunto al potere organizzativo e gestionale che gli è conferito in virtù dell’art. 25 del D.Lgs. 165/2001.
Sull’assegnazione dei docenti ai plessi e/o sedi scolastiche un punto di riferimento resta la Nota MIUR AOODGPER 6900/2011 che ha definito i criteri cui il Dirigente scolastico deve attenersi; anche nel suddetto documento, i criteri stabiliti dal Consiglio di istituto sono imprescindibili (vedi box infra).
Nella scelta dei criteri è dunque doveroso il passaggio dagli organi collegiali e in taluni casi l’obbligo di motivazione, qualora vi siano evidenti elementi di conflittualità tali da determinare lo spostamento di un docente ad altra classe.
La Legge 107/2015 sull’assegnazione dei docenti alle classi: una questione ancora aperta
Pur con l’introduzione dell’organico dell’autonomia, ai sensi del comma 68 dell’art. 1, la Legge 107/2015 lascia invariato il sistema dell’assegnazione dei docenti alle classi così come regolato all’interno del T.U. D.Lgs. 297/1994, affermando quindi il ruolo e il rispetto degli organi collegiali, non essendone stata modificata la norma.
Tuttavia un piuttosto recente pronunciamento del Tribunale di Napoli, sentenza n. 24533 del 2016, ha messo in risalto un’altra importante questione sulle assegnazioni, nello specifico sul fatto che il Dirigente scolastico possa indifferentemente assegnare i docenti, facenti parte dell’organico dell’autonomia, ad attività di insegnamento curricolare o di potenziamento (si veda comma 5 dell’art. 1 Legge 107/2015) senza con ciò venire a ledere i diritti dei docenti titolari nella scuola, prima dell’entrata in vigore della Buona Scuola.
Il giudice ha rigettato il ricorso del docente, che lo adiva perché non accettava di essere stato spostato dall’insegnamento curricolare ad attività di potenziamento, giustificando pienamente legittimo il provvedimento del Dirigente scolastico che aveva agito «in coerenza con le esigenze didattiche della scuola, scaturite dalle priorità nel RAV e dagli obiettivi indicati nel Piano di Miglioramento [...] dunque in linea con l’obiettivo di garantire agli studenti il potenziamento».
Ciò nonostante nella difficile gestione dell’organico dell’autonomia il Dirigente scolastico non può non tenere conto ancora dei criteri fissati in sede collegiale dal Consiglio di istituto e dal Collegio dei docenti, motivando, nel caso in specie, le sue scelte gestionali e organizzative; nella sentenza n. 24533 il Dirigente aveva giustamente «deciso di non frazionare le ore di potenziamento tra due o più docenti per non compromettere i risultati».
La questione è ancora aperta ma pur trattandosi di potere di organizzazione, rimesso nelle mani del Dirigente scolastico, resta invariato il principio del rispetto dei criteri di assegnazione dei docenti alle classi.