I provvedimenti di riforma della scuola italiana suscitano, in una parte degli studenti, sentimenti di avversione e contrapposizione che talvolta sfociano in occupazioni degli edifici scolastici e scontri con le forze dell’ordine.
È un rituale che si ripete sempre uguale da anni, tanto che alcuni Capi di istituto, tentando di porvi un argine, indirizzano circolari ai rappresentanti degli studenti, con le quali precisano i rischi che gli alunni corrono nell’occupare la scuola e nell’impedire le lezioni.
Paradigmatica è la circolare del Dirigente scolastico di un Istituto Superiore di Tivoli del dicembre scorso, con la quale si elencano le conseguenze penali e disciplinari per gli studenti che abbiano occupato l’edificio scolastico.
In essa si afferma espressamente che il loro comportamento «avrebbe integrato gli estremi di almeno due reati: interruzione di pubblico servizio ed occupazione di edificio pubblico, precisando, inoltre, che in questa prospettiva si inserisce anche la responsabilità dei genitori, esercenti la patria potestà, per i comportamenti messi in essere dagli alunni minorenni». La circolare prosegue affermando che «gli alunni partecipanti all’occupazione sono considerati soggetti ai provvedimenti disciplinari in caso di illecita condotta; [...] agli studenti aderenti alle azioni di protesta non è consentito impedire, a chi ne manifestasse la volontà, di prendere parte alle lezioni, poiché ciò comporterebbe la lesione dei diritti/doveri di insegnanti e studenti; qualora l’occupazione, dovesse impedire la fruizione del diritto allo studio anche di un solo studente, la situazione, integrando la fattispecie di interruzione di pubblico servizio, sarà immediatamente rappresentata come tale agli Organi competenti, ai quali sarà richiesto il dovuto intervento per il ripristino della legalità; la responsabilità dei docenti, in ordine alla vigilanza, per forza di cose è naturalmente limitata, lo stesso dicasi per i collaboratori scolastici; – nel caso in cui, a conclusione dell’occupazione, si dovessero riscontrare danni di qualsiasi tipo e/o mancanza di beni mobili, saranno subito attivate tutte le procedure necessarie per ottenere il relativo e tempestivo risarcimento da parte dei promotori della stessa e/o di coloro che si sono assunti responsabilità al riguardo».
Prendendo spunto proprio da questo documento e dalle richieste di chiarimento da parte del personale e della dirigenza scolastica, presenti su molti siti internet, in merito al comportamento da adottare in caso di “agitazioni studentesche”, vorrei dare alcuni consigli per muoversi consapevolmente all’interno di questo complesso fenomeno.
Cosa dice la legge
La nostra Costituzione sancisce il diritto dei cittadini di riunirsi pacificamente e di manifestare liberamente il proprio pensiero, anche attraverso la critica di ciò che non si condivide, purché essa sia espressa in modo civile e non diffamatorio (v. Cass. pen., Sez. V, 13/04/2011, n. 15060).
Nella realtà scolastica, i precetti costituzionali trovano esplicazione sia nell’art. 12 del D.Lgs. 297/1994, il quale afferma che gli studenti della scuola secondaria superiore hanno il diritto di riunirsi in assemblea nei locali della scuola, sia nel seguente art. 13 che evidenzia come le «assemblee studentesche nella scuola secondaria superiore costituiscono occasione di partecipazione democratica per l’approfondimento dei problemi della scuola e della società in funzione della formazione culturale e civile degli studenti», distinguendo tra le assemblee di classe e quelle di istituto e prevedendone le regole di funzionamento.
Non meno importante è il d.P.R. n. 249/1988, contenente lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria, nel quale è consacrato il diritto degli scolari ad una scuola intesa come «luogo di formazione e di educazione mediante lo studio, l’acquisizione delle conoscenze e lo sviluppo della coscienza critica. La scuola è una comunità di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni».
La Cassazione, nella sentenza n. 2723/1997, basandosi sulle anzidette considerazioni, pone le fondamenta per considerare legittima, pur con i limiti che subito diremo, l’autogestione studentesca, anche nelle forme dell’occupazione degli spazi della scuola, poiché essa rientra tra le attività didattiche di crescita e maturazione degli studenti, le quali non presuppongono necessariamente «modalità predeterminate e rigide concatenazioni di puntualità temporale», potendo tale processo formativo degli alunni essere raggiunto anche attraverso modalità e tempi più liberi ed elastici, purché nei limiti della corretta convivenza civile e della legalità.
Quali comportamenti rendono una occupazione “fuori legge”
Le norme penali che possono essere violate, in questi casi, sono essenzialmente tre: l’interruzione di pubblico servizio, l’invasione di terreni o edifici e la violenza privata.
Distinguiamo, innanzitutto, l’occupazione dell’edificio scolastico, in antagonismo con talune scelte politiche e/o con la dirigenza della singola scuola, dall’autogestione: quest’ultima, se avviene con metodi pacifici e concordati con le autorità scolastiche, permettendo agli studenti di confrontarsi su varie tematiche attinenti al mondo della scuola – e, quindi, della società di cui essi fanno parte – è un momento di crescita che si svolge in maniera diversa dal rito di apprendimento istituzionalizzato nei programmi ministeriali.
Si può pertanto ritenere legittima l’autogestione che sia stata preceduta da un accordo con la presidenza della scuola, che potrebbe rifiutarne lo svolgimento solo in presenza di gravi e comprovati motivi, considerati gli appigli normativi ai quali i rappresentanti degli studenti, come illustrato sopra, potrebbero fare riferimento.
Non da ultimo gli alunni potrebbero sostenere la propria iniziativa riferendosi all’art. 2, comma 10, del d.P.R. n. 249/1998, a mente del quale «I regolamenti delle singole istituzioni garantiscono e disciplinano l’esercizio del diritto di associazione all’interno della scuola secondaria superiore, del diritto degli studenti singoli e associati a svolgere iniziative all’interno della scuola, nonché l’utilizzo di locali da parte di studenti e delle associazioni di cui fanno parte».
Qualora invece l’agitazione studentesca si svolgesse fuori dei limiti suddetti, potrebbe integrare la fattispecie prevista dall’art. 340 c.p., che punisce «Chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge, cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità».
Quando non c’è il reato di interruzione di pubblico servizio
Una nota sentenza del 29/10/2001 del Tribunale di Siena statuisce, appunto che «Se la c.d. “occupazione” della scuola da parte degli studenti avviene senza modalità invasive, e cioè consentendo lo svolgersi delle lezioni e l’accesso degli addetti, non è configurabile il reato di interruzione di pubblico servizio, neanche se l’attività didattica si svolge con difficoltà ed in mezzo a confusione».
Il caso esaminato dal giudice toscano ha preso le mosse dalla denuncia alle forze dell’ordine, da parte della preside della scuola, contro 34 studenti, i quali, in modo autonomo, senza preavviso o assemblea, avevano deciso di occupare l’istituto.
In particolare, nel corso della mattinata, alcuni studenti proposero una sorta di votazione su un’eventuale occupazione, facendo circolare per le classi un foglio che i giovani, favorevoli o contrari all’iniziativa, dovevano sottoscrivere. La maggior parte degli 800 studenti del liceo risultò contraria all’iniziativa.
Il tribunale senese, dopo aver chiarito che lo scopo dell’art. 340 c.p. consiste nella tutela del buon andamento e della regolarità del funzionamento dei vari settori della pubblica amministrazione, e accertato che la maggior parte degli studenti ha continuato a fare lezione e i professori hanno regolarmente effettuato l’attività didattica programmata alla presenza di un gran numero di alunni, senza che, quindi, le lezioni avessero subito alcuna significativa interruzione o disturbo da parte degli occupanti, ha respinto le doglianze espresse dalla dirigente scolastica, secondo la quale le lezioni si erano svolte «in una situazione di confusione, chiasso e di sporco» a causa dell’occupazione.
A giudizio del tribunale ciò ha configurato una sensazione soggettiva di disturbo o fastidio – sicuramente legittima in chi, come la preside, è istituzionalmente chiamato ad assicurare la funzionalità del servizio d’insegnamento nella scuola – il che, però, non potrebbe significare che i denunciati disservizi abbiano inciso in modo penalmente apprezzabile rispetto all’espletamento dell’attività didattica.
Quest’ultimo servizio, in relazione alla citata distinzione tra i tipi di servizi pubblici, consiste in un’attività elastica, esercitabile e fruibile anche in condizioni non ottimali, la quale, stando alle testimonianze degli stessi docenti, non è stata impedita, né interrotta né sostanzialmente turbata dalla riferita condotta degli imputati.
Da questa sentenza possiamo trarre la conclusione che, se l’occupazione non impedisce il regolare svolgimento delle lezioni e l’ingresso degli studenti che non sono in occupazione, il reato non è configurabile.
Quando invece il reato c’è
Ciò è ribadito nel 2012 dalla sentenza del Tribunale dei minori di Palermo, che condanna uno studente occupante ad un periodo di servizi sociali, poiché ha sbarrato l’accesso alla scuola agli altri studenti e al personale, interrompendo un pubblico servizio e negando l’esercizio del diritto allo studio agli altri compagni.
È utile evidenziare che il personale scolastico non può ritenersi esonerato dal dovere di sorveglianza sugli alunni per il solo fatto che questi ultimi occupino gli spazi scolastici, come giustamente rimarcato dal Consiglio di Stato: «situazioni di c.d. occupazione di un Istituto scolastico per lo stato di agitazione degli studenti non esplicano un effetto esonerativo o di attenuazione degli obblighi di presenza, intervento e controllo del corpo del personale docente ed amministrativo della scuola, che tanto più devono garantire la loro presenza per evitare degenerazioni delle iniziative assunte dagli studenti all’interno dell’istituzione scolastica» (Cons. Stato, Sez. VI, 17/10/2006, n. 6185).
Pertanto il Dirigente scolastico dovrà organizzare un adeguato servizio di sorveglianza ed eventualmente denunciare per violenza privata coloro che impediscano al personale scolastico l’assolvimento di tale dovere.
Nel caso di occupazioni scolastiche violente, infatti, è prevista la sanzione dell’art. 610 c.p., rubricato “violenza privata”, nei confronti di «chiunque, con violenza o minaccia costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa». Una recente sentenza del Tribunale di Udine ha condannato due studenti di un liceo scientifico a 15 giorni di arresto (commutati in una multa di 570 euro a testa) per avere, durante un’occupazione, impedito l’ingresso mediante un lucchetto (non è chiaro se posto all’ingresso principale o ad una porta di un’aula della scuola).
Reato di “invasione di terreni o edifici”
In merito al fatto in sé dell’occupazione di un edificio scolastico, essa potrebbe presentare i profili del reato punito dall’art. 633 c.p. intitolato “Invasione di terreni o edifici” che considera illegittima la condotta di coloro che invadono arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto.
La Corte di Cassazione si esprime in merito all’argomento con due sentenze (n. 1044 del 22/02/2000 e n. 49169 del 27/11/2003), attraverso le quali nega che vi sia il reato di cui all’art. 633 c.p. nel caso delle occupazioni studentesche, poiché la norma sanziona solo le occupazioni “arbitrarie” di edifici pubblici, da parte di soggetti estranei. Quindi:
- gli studenti non commettono un’azione arbitraria poiché hanno diritto, come riconosciuto loro dalla legge, ad accedere all’edifico scolastico;
- il rifiuto da parte loro di sgomberare l’edifico, su intimazione del Dirigente scolastico o dell’Autorità di Pubblica sicurezza, non può ravvisare il reato di cui all’art. 633 del c.p., in quanto l’ingresso arbitrario non può essere equiparato alla permanenza illecita;
- gli studenti non possono essere considerati estranei rispetto alla scuola che frequentano, anche se formalmente gli edifici scolastici sono di proprietà dello Stato o della Provincia o del Comune (e quindi non devono essere danneggiati), poiché gli allievi sono soggetti attivi della scuola e non si può limitare il loro accesso all’edificio nelle sole ore in cui si svolge l’attività didattica (purché detto ingresso avvenga all’interno dell’orario di servizio della scuola).
Aspetti disciplinari
Oltre agli aspetti squisitamente penali, vi sono anche quelli disciplinari, previsti nel “Regolamento disciplinare” di ciascun istituto, che può prevedere sanzioni che spaziano dall’attribuzione di attività in favore della comunità scolastica, alla sospensione delle lezioni fino a 15 gg. o, per i casi più gravi, la sospensione per oltre 15 gg. e, come extrema ratio, l’esclusione dello studente dallo scrutino finale o dall’esame di Stato.
È ovvio che le punizioni non debbano essere applicate indiscriminatamente, senza cioè aver accertato la responsabilità dei singoli alunni e la gravità dei singoli comportamenti, ma, al contrario, devono essere proporzionali al fatto illecito e tendere a far capire all’alunno il superamento del limite della correttezza, la riprovevolezza della propria azione, poiché la scuola è un luogo di educazione, formazione e sviluppo della coscienza critica, e le pene, come afferma d’altronde la nostra costituzione, devono tendere alla rieducazione del reo.
Non si può tacere sulla circostanza che, in caso di dubbio sull’identità del colpevole o sul suo ruolo all’interno dell’occupazione illecita, lo si deve assolvere anziché applicare la punizione.
Recupero delle giornate di occupazione da parte del personale
Un ultimo accenno deve essere fatto al seguente quesito: i docenti e il personale Ata devono recuperare i giorni di lavoro durante i quali vi è stata occupazione?
Ho già precisato che anche durante il periodo di agitazione studentesca il personale scolastico deve svolgere il proprio compito di sorveglianza degli alunni.
Se, invece, l’effettuazione della prestazione lavorativa diventa impossibile per causa non imputabile al personale scolastico, come nel caso di impedimento dell’ingresso nell’edificio, si applica senz’altro l’art. 1256 c.c., il quale precisa che «L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore (in questo caso al lavoratore subordinato), la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo dell’adempimento».
Quindi il dipendente non è tenuto a recuperare alcun tipo di prestazione lavorativa in caso di occupazione della scuola da parte degli studenti, perché essa diviene impossibile per una causa riferibile a soggetti terzi, cioè agli alunni rivoltosi, e ciò è paragonabile ad una causa di forza maggiore, quale potrebbe essere, analogamente, un’abbondante nevicata o un altro evento naturale che impedisca alla scuola di aprire.
Poiché in caso di evento atmosferico eccezionale non si deve recuperare alcun giorno di scuola, come precisato più volte da note di Uffici scolastici regionali e anche dal Miur (circolare 22/02/2012, n. 1000: «è fatta comunque salva la validità dell’anno scolastico» anche in caso di «discesa dei giorni di lezione al di sotto del limite dei 200» in conseguenza di «cause di forza maggiore»), lo stesso principio, mutatis mutandis, si può fare valere per l’occupazione della scuola da parte degli studenti.