Con il d.Lgs. n. 75 del 25/05/2017, di modifica e integrazione del Testo Unico Pubblico Impiego (D.Lgs. 165/2001), si è data ulteriore attuazione alla legge delega recata con Legge 124/2015 (Riforma Madia), che ha dettato principi di innovazione dell’amministrazione pubblica.
La riforma ha spaziato in vari campi di intervento, dal polo unico per le visite fiscali (innovazione più volte annunciata, a dire il vero), al procedimento disciplinare; questo procedimento è stato in qualche modo inasprito, anche sull’onda delle pressioni mediatiche relative a singoli episodi di violazione dei doveri connessi al rapporto di lavoro.
La normativa interviene anche in un campo di sicuro interesse per le amministrazioni, che ha destato, nel recente passato, accese discussioni in relazione all’uguaglianza del rapporto di lavoro pubblico e privato e alla cosiddetta “tutela reale” del dipendente nelle ipotesi di licenziamento illegittimo.
Diritti del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo
Il decreto interviene in materia di licenziamento illegittimo con l’art. 21, che integra l’art. 63 del D.Lgs. 165/2001, nel modo di seguito riportato testualmente:
Art. 21 –Modifiche all’art. 63 del D.Lgs. 30/03/ 2001, n. 165
1. All’articolo 63 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 2, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Ilgiudice, con la sentenza con la quale annulla o dichiara nullo illicenziamento, condanna l’amministrazione alla reintegrazione dellavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento peril calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periododal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettivareintegrazione, e comunque in misura non superiore alle ventiquattro mensilità, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento deicontributi previdenziali e assistenziali.»;
b) dopo il comma 2 è inserito il seguente: «2-bis. Nel caso di annullamento della sanzione disciplinare per difetto di proporzionalità, il giudice può rideterminare la sanzione, inapplicazione delle disposizioni normative e contrattuali vigenti,tenendo conto della gravità del comportamento e dello specificointeresse pubblico violato.».
Come evidente, il legislatore interviene ad integrazione di una normativa consolidata, riconoscendo al lavoratore illegittimamente licenziato due diritti:
- in caso di annullamento o nullità del licenziamento, riconosciuti in sede di giudizio, viene assicurato il diritto alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro originario, garantendo non il rinnovo del rapporto di lavoro, ma la ricostituzione di quello originario, comprensivo quindi dei benefici (quali l’anzianità di servizio e le progressioni di carriera) nel tempo acquisiti;
- il diritto alla indennità risarcitoria, corrispondente all’ultima retribuzione percepita, calcolata dal giorno del licenziamento fino al giorno dell’effettiva reintegrazione; tale somma non può comunque superare (novità importante del decreto), le 24 mensilità.
Considerati i noti tempi della giustizia, tale limite – corrispondente a due anni – può effettivamente essere sottostimato rispetto a quanto realmente perso dal lavoratore illegittimamente licenziato, e ciò fa supporre che quanto corrisposto sia una vera misura indennitaria, anche di tipo materiale, e non una ricostituzione quo ante (come se il licenziamento non fosse avvenuto) del rapporto di lavoro.
A conferma, vi è anche l’altra previsione della detrazione di quanto eventualmente percepito nella fase di interruzione del rapporto di lavoro, altra ipotesi che potrebbe essere di ingiustificato nocumento per il lavoratore licenziato illegittimamente.
Come noto, infatti, in costanza di lavoro pubblico il regime delle incompatibilità non preclude completamente lo svolgimento di seconda attività; in disparte delle attività comunque vietate, infatti, ci sono attività consentite ex lege senza bisogno di autorizzazione (art. 53 comma 6 D.Lgs. 165/2001) e attività consentite solo previa autorizzazione. Alla luce di tali possibilità, la previsione della detrazione, da quanto da corrispondere al lavoratore, dei proventi di altra attività, sembra misura piuttosto punitiva.
Ancora, nulla la normativa dispone a proposito delle possibilità professionali medio tempore eventualmente perse da parte del lavoratore nel periodo dell’interruzione (illegittima) del rapporto di lavoro; la mancata possibilità, in costanza di interruzione illegittima del rapporto di lavoro, di partecipare a progressioni o selezioni di qualsiasi tipo può certamente aprire la strada a numerosi contenziosi in giudizio per la c.d. “perdita di chance”.
Il parere del Consiglio di Stato
Importanti indicazioni e critiche al provvedimento sono state espresse dal Consiglio di Stato in sede di parere alla bozza di decreto, reso alla riforma con deliberazione n. 916 del 21/04/2017.
Preliminarmente, il Consiglio fuga i dubbi, da qualche parte espressi, di una ipotesi di “eccesso di delega” della misura, che non sarebbe stata ricompresa, secondo diverse opinioni, nella legge delega (Legge 124/2015) alla base del decreto. Per il Consiglio, infatti, con questo provvedimento il Governo ha intenzionalmente voluto porre fine alla annosa discussione che ha interessato lungamente, si ricorderà, gli operatori del settore, proprio sulla cosiddetta “tutela reale” del pubblico dipendente (reintegrazione nel rapporto di lavoro), e risolvere, così, le «antinomie in base ai principi dell’ordinamento e alle discipline generali regolatrici della materia».
La questione, si ricorderà, muove dalla Legge Fornero (Legge 92/2012), e dal suo intervento innovativo sull’art. 18 della Legge 300/1970, che aveva previsto, in sostanza, la sola tutela indennitaria per alcune ipotesi di licenziamento illegittimo; ebbene, la medesima Legge 300/1970, per espressa disposizione trovava applicazione, in linea di principio, anche per il pubblico impiego, ma necessitava di interventi adeguatori ad opera degli organi di Governo.
Per questa formulazione poco chiara, lungo è stato il dibattito sollevato in dottrina e giurisprudenza.
Prima ancora che con il decreto in argomento, che ha chiarito definitivamente la generalità della tutela reale del dipendente pubblico, il Consiglio di Stato rammenta come sia stata giurisprudenza autorevole a definire il principio; la Corte di Cassazione, infatti, con la sentenza 11868/2016, aveva sancito che «ai rapporti di lavoro disciplinati dal D.Lgs. 165 del 2001 non si applicano le modifiche apportate dalla l. n. 92 del 2012 all’art. 18 Stat. lav., sicché la tutela del dipendente pubblico in caso di licenziamento in data successiva all’entrata in vigore della stessa l. n. 92 del 2012 resta quella prevista dall’art. 18 della l. n. 300 del 1970: in definitiva, detta pronuncia ha stabilito che la tutela del pubblico dipendente è quella “reale” cristallizzata dall’art. 18 della l. n. 300 del 1970 ante l. n. 92 del 2012».
La tutela reale comunque garantita al pubblico dipendente, e la differenza con il rapporto di lavoro privato troverebbe fondamento, per il Collegio, nel principio per cui «a differenza di quanto accade nel settore privato, nel quale il potere di licenziamento del datore di lavoro è limitato allo scopo di tutelare il dipendente, nel settore pubblico il potere dell’amministrazione di esonerare un dirigente o un dipendente dall’incarico e di risolvere il relativo rapporto di lavoro “è circondato da garanzie e limiti che sono posti non solo e non tanto nell’interesse del soggetto da rimuovere, ma anche e soprattutto a protezione di più generali interessi collettivi” (Corte cost., 24/10/2008, n. 351)».
La differenza tra rapporto pubblico e privato sussiste, a ben vedere, anche in ordine alle conseguenze del provvedimento dichiarato illegittimo in sede di giudizio; è evidente infatti che il dirigente/datore di lavoro che contravviene alle norme disciplinanti il licenziamento, dovrà rispondere dinanzi alla Corte dei Conti per responsabilità erariale, sia per rifondere la misura indennitaria, sia per eventuali altre figure di danno, come quelli c.d. da soccombenza o da disservizio.
Anche in questo caso, l’analisi dei casi giurisprudenziali fornirà strumenti utili di approfondimento e indicazioni pratiche.