Sinergie di Scuola

La legge n. 190 del 2012, pubblicata il 13 novembre e in vigore dal 28, prende le mosse dal discusso ddl anticorruzione.

Il disegno di legge è stato un banco di prova su cui il Governo Monti si è speso e dal quale ha tratto vasta eco mediatica, in un momento in cui la politica del malaffare ha avuto bisogno di azioni anche legislative per evidenziare il cambio di rotta, da parte del Governo, nei confronti dei fenomeni numerosi di reato all’interno della cosa pubblica.

La legge è intervenuta anche in vari modi nei confronti dell’impiego pubblico, che è stato ulteriormente circoscritto, anche nelle possibilità di azione dei singoli, diremmo in modo peculiare (leggasi, maggiormente repressivo) rispetto alle responsabilità del potere politico.

Uno di questi aspetti riguarda l’irrigidimento della materia dell’incompatibilità, nel presupposto che eventuali conflitti di interessi o commistioni con fini di tipo privato possano agevolare fenomeni di corruzione nella gestione amministrativa.

Nel richiamare i precedenti articoli in cui Sinergie di Scuola ha trattato l’argomento, esaminiamo cosa cambia per il personale e soprattutto per i Dirigenti scolastici alle prese con le singole ipotesi di autorizzazione allo svolgimento di “seconde attività”.

Le modifiche si incentrano soprattutto sulla disposizione cardine in tema di incompatibilità, ovvero l’art. 53 del D.Lgs. 165/2001, e sono contenute nell’articolo 1, commi da 42 a 43 della legge di riforma. Le elenchiamo di seguito per singoli temi.

Gli incarichi vietati

La disciplina ad oggi vigente già definisce alcuni incarichi espressamente vietati agli impiegati pubblici, richiamando anche la disciplina ancora operativa di cui al TU 3/1957. L’inserimento dell’art. 3-bis dovuto alla legge di cui trattiamo, all’interno dell’art. 53, espressamente prevede che interverranno appositi regolamenti ministeriali per definire, in relazione alle qualifiche e ai ruoli professionali ricoperti, le attività vietate ai dipendenti pubblici.

Nel caso di specie, si fa riferimento alle attività conferite dalle pubbliche amministrazioni (si richiama il comma 2 che ad essi è dedicato). Bisognerà attendere i regolamenti attuativi cui la normativa si riferisce, soprattutto per verificare se gli irrigidimenti riguarderanno anche il personale scolastico, che sul punto dell’incompatibilità gode, come sappiamo, di un regime speciale e privilegiato.

Il conflitto di interessi “potenziale”

L’art. 53 del TU Pubblico impiego ribadisce più volte, e in varie forme, la necessità dell’autorizzazione del dirigente per lo svolgimento di attività ulteriore, sia essa svolta per un amministrazione pubblica o privata, e sempre che la stessa non rientri nelle attività espressamente vietate dalla legge. Ricordiamo comunque che ci sono dei casi in cui l’autorizzazione non è necessaria: sono quelli di cui dal punto a) al punto f-bis) del sesto comma.


In tutti gli altri casi, nel concedere l’autorizzazione, la normativa previgente prevedeva in capo al dirigente la valutazione obbligatoria da svolgersi «secondo criteri oggettivi e predeterminati che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’interesse del buon andamento della pubblica amministrazione» (art. 53 comma 5). La disciplina di riforma prevede che si escludano «situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente» (aggiunta al comma 5) e che «ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi» (aggiunte ai commi 7 e 9).

Viene quindi introdotto il concetto di conflitto di interessi nella valutazione che il dirigente deve operare nella concessione o meno dell’autorizzazione allo svolgimento della seconda attività. Una valutazione opportuna, certamente già rientrante nel concetto generale di incompatibilità già citato dal comma 5.

Di sicura difficoltà, invece, può essere il canone del conflitto di interessi potenziale, che potrebbe dar luogo sia ad abusi di discrezionalità sia a contenziosi conseguenti.

Di certo, la previsione espressa del canone del conflitto di interessi anche potenziale parrebbe escludere tutti quei casi in cui il docente, che può esercitare, a differenza degli altri pubblici impiegati, l’attività forense, si trovi a patrocinare contro la sua amministrazione, ipotesi ammessa da qualche Tribunale, come abbiamo già potuto analizzare nel num. 7 – Marzo 2011.

Attività svolte in violazione delle norme sull’autorizzazione

Dispone il comma 7 che i proventi delle attività svolte senza osservare le prescrizioni in materia debbano essere versate all’amministrazione di appartenenza. L’art. 7-bis, aggiunto dalla legge di riforma, aggiunge che l’omissione del versamento costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei Conti.

Dichiarazione dei compensi

Il comma 11 previgente imponeva ai soggetti conferenti incarichi di comunicare entro il 30 aprile i compensi dell’anno precedente. Il comma 11 oggi vigente, sostituito dalla legge di riforma, impone di comunicare i compensi entro 15 giorni. Tale incombenza, per quanto ci interessa, è imposta anche ai soggetti pubblici: si ricordi quindi che per ogni incarico conferito a dipendenti pubblici, si devono comunicare all’amministrazione di appartenenza dell’incaricato i relativi dati entro 15 giorni dall’erogazione. La disposizione si riferisce agli incarichi di cui al comma 6, ovvero quelli retribuiti, «anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso».


Comunicazione del conferimento di incarichi

In base al comma 12, le amministrazioni annualmente dovevano comunicare al Dipartimento della Funzione Pubblica sia il conferimento incarichi che le autorizzazioni rilasciate.

Il comma 12 è stato modificato, per cui adesso la comunicazione deve essere inoltrata non più annualmente entro il 30 giugno, ma entro 15 giorni dal conferimento o autorizzazione; la comunicazione deve essere effettuata solo per via telematica (e non più anche su supporto magnetico); debbono essere comunicati anche gli incarichi gratuiti (e non più solo quelli retribuiti). La comunicazione di non aver conferito incarichi né di averne autorizzati, invece, va effettuata entro il medesimo termine di prima, 30 giugno.

Elenchi dei consulenti

In base al comma 14, le amministrazioni già oggi devono rendere noti in banche dati accessibili telematicamente gli elenchi dei consulenti, con indicazione dell’oggetto dell’incarico, durata e compenso. La normativa di riforma impone che oltre a queste indicazioni sia pubblicata «l’attestazione dell’avvenuta verifica dell’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi».

Tali dati debbono essere comunicati annualmente al Dipartimento Funzione Pubblica; la legge di riforma prevede che sia detta comunicazione che le informazioni pubblicate nelle proprie banche dati debbano essere trasmesse e pubblicate in «tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici». Anche di tale ultima eventuale omissione, continua la legge di riforma, viene data informazione annuale alla Corte dei Conti.

Svolgimento di poteri autoritativi e negoziali per conto delle P.A.

Quest’ultima categoria è trattata ex novo nel comma 16-ter, inserito dalla legge di riforma, e riguarda coloro che abbiano ricoperto ruoli di autorità e poi abbiano interrotto i rapporti di impiego con la PA. Queste persone, per tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, non possono lavorare presso i soggetti privati destinatari dell’attività della PA; inoltre, i contratti conclusi in violazione del divieto sono nulli, i soggetti privati stipulanti sono inibiti dal contrattare con le PA per i successivi tre anni ed è prevista anche la restituzione dei compensi eventualmente percepiti, tranne per i contratti già sottoscritti alla entrata i vigore della legge 190.

Si tratta di una norma che non si riferisce alle pubbliche amministrazioni ma ai soggetti privati, che si riporta per completezza di informazione e perché inibisce, a ben guardare, anche le PA dal contrattare con soggetti privati che abbiano violato detto divieto.

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