La forma di congedo che consente al lavoratore dipendente di fruire di un periodo di astensione dal lavoro per l’assistenza ad un familiare in situazione di grave handicap è disciplinata dall’art. 42 comma 5 del D.Lgs. 151/2001, che si rammenta: «Il coniuge convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 5/02/1992, n. 104, ha diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 dell’art. 4 della legge 8/03/2000, n. 53, entro sessanta giorni dalla richiesta. In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, ha diritto a fruire del congedo il padre o la madre anche adottivi; in caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del padre e della madre, anche adottivi, ha diritto a fruire del congedo uno dei figli conviventi; in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei figli conviventi, ha diritto a fruire del congedo uno dei fratelli o sorelle conviventi».
La concessione del beneficio soggiace ad un ordine di beneficiari, che deve essere rigorosamente seguito prima di autorizzare la fruizione.
Sul punto, poi, è intervenuta vasta giurisprudenza e interpretazioni giurisprudenziali di grande interesse per tutte le amministrazioni, anche scolastiche.
Dapprima è intervenuta la Corte Costituzionale con sentenza n. 203/2013, poi la circolare n. 159/2013 dell’INPS, che si è espressa per dettagliare la materia, introducendo il punto fondamentale dell’estensione agli affini e ai parenti entro il terzo grado della possibilità di fruire del beneficio.
Affini e parenti: la disciplina del codice civile
È utile riepilogare brevemente la disciplina che il codice civile detta in materia di parentela e affinità, in maniera di identificare senza alcun dubbio gli appartenenti alle varie categorie. Per individuare i parenti, soccorrono gli artt. da 74 a 78 del codice civile, che ricordano, lo riportiamo sintetizzando, alcune regole precise:
- i parenti possono essere in linea retta (persone di cui l’una discende dall’altra, es. madre e figlio) o in linea collaterale (persone che, pur avendo uno stipite comune, non discendono l’una dall’altra, es. fratelli);
- per contare i gradi di parentela, nella linea retta si contano le generazioni, escluso lo stipite, mentre «nella linea collaterale i gradi si computano dalle generazioni, salendo da uno dei parenti fino allo stipite comune e da questo discendendo all’altro parente, sempre restando escluso lo stipite»;
- sono affini tra loro i coniugi, singolarmente, con i parenti dell’altro coniuge, «nella linea e nel grado in cui taluno è parente d’uno dei due coniugi». In pratica, per esempio, i suoceri sono affini di primo grado con generi e nuore.
Si ricordi che per il codice civile la parentela sussiste fino al sesto grado dal punto di vista giuridico, e che, ai nostri fini, rileva la parentela entro il terzo grado (es. zio e nipote).
L’interpretazione estensiva della Corte Costituzionale
Come ricordato dalla citata circolare INPS, la Consulta, con la sentenza del 2013, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 42 comma 5 «nella parte in cui, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona disabile in situazione di gravità, non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo straordinario il parente o l’affine entro il terzo grado convivente».
La pronuncia, resa nell’ottica di salvaguardare il diritto all’assistenza del disabile e la solidarietà familiare, anche in funzione di tutela di interessi generali, ricorda come l’ordine rigidamente gerarchico di fruizione, nella formulazione originaria, fosse astrattamente pregiudizievole e non adeguato, anche alla luce del fatto che la medesima Corte, in passato, aveva già riconosciuto il ruolo di parenti e affini entro il terzo grado per la fruizione del beneficio di cui alla legge 104.
Per questo, alla luce della pronuncia della Corte, l’INPS ricorda che sono soggetti legittimati al beneficio quelli di seguito elencati, secondo l’ordine di priorità seguente:
- il coniuge convivente della persona disabile in situazione di gravità;
- il padre o la madre, anche adottivi o affidatari, della persona disabile in situazione di gravità, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente;
- uno dei figli conviventi della persona disabile in situazione di gravità, nel caso in cui il coniuge convivente ed entrambi i genitori del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti;
- uno dei fratelli o sorelle conviventi della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il coniuge convivente, entrambi i genitori ed i figli conviventi del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti;
- un parente o affine entro il terzo grado convivente della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il coniuge convivente, entrambi i genitori, i figli conviventi e i fratelli o sorelle conviventi siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti.
Per quanto riguarda i requisiti soggettivi, la circolare precisa che:
- per quanto concerne la “mancanza”, «deve essere intesa non solo come situazione di assenza naturale e giuridica (celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto), ma deve ricomprendere anche ogni altra condizione ad essa giuridicamente assimilabile, continuativa e debitamente certificata dall’autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità, quale: divorzio, separazione legale o abbandono»;
- per quanto riguarda le patologie invalidanti, «in assenza di un’esplicita definizione di legge, sentito il Ministero della Salute, si ritiene corretto prendere a riferimento soltanto quelle, a carattere permanente, indicate dall’art. 2, comma 1, lettera d), numeri 1, 2 e 3 del D.I. n. 278 del 21/07/2000 [...]».
L’interpretazione restrittiva della Corte dei Conti
La Corte dei Conti è intervenuta in tempi recentissimi in materia, con pronuncia n. 174 del 1/12/2015, di ricusazione del visto da parte della sezione regionale di controllo per il Piemonte.
Con la decisione in esame, la Corte interviene dopo essere stata investita dalla Ragioneria Territoriale dello Stato di Torino, relativamente alla concessione, da parte di un Dirigente scolastico ad una docente a tempo indeterminato, del congedo per gravi motivi familiari (art. 42 comma 5 Decreto 151/2001) per l’assistenza al suocero; la Corte in questo caso rileva motivi ostativi alla concessione del beneficio in esame, e nega il visto.
Nello specifico, il giudice contabile ripercorre la normativa in materia sopra richiamata e, in particolare, la sentenza della Corte Costituzionale 203/2013, ribadendo la piena legittimità dell’estensione agli affini del beneficio in esame, che è subordinato, tuttavia, all’assenza degli altri soggetti indicati.
L’assenza, ricorda il giudice contabile, deve essere intesa come mancanza (in termini naturalistici o giuridici, es. separazione legale), decesso o presenza di patologie invalidanti, e va coniugata alla convivenza (valutata dal punto di vista sostanziale).
Il problema evidenziato dalla Corte nel caso di specie, influente sulla decisione finale, è nello specifico riferito al concetto di patologia invalidante, che, si ribadisce, è di configurazione non univoca in mancanza di specifica normativa in esame. Il giudice contabile fa riferimento, per l’individuazione della fattispecie, all’art. 2, comma 1 del D.M. 278/2000 (come del resto la circolare INPS sopra citata), che nello specifico, in riferimento alle ipotesi per cui è possibile accordare il congedo per gravi motivi di cui all’art. 4, comma 2 della Legge 53/2000, individua tre ipotesi distinte di patologie acute o croniche: quelle che possono comportare riduzione o perdita dell’autonomia personale, quelle che necessitano di assistenza continuativa e frequenti accertamenti strumentali e quelle che comportano la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario.
Ebbene, queste ipotesi sono utilizzate solo come metro di individuazione delle cause che possono consentire il “subentro” dei beneficiari secondo la graduatoria prevista dalla legge; «solo in mancanza del beneficiario di un certo livello» continua il giudice contabile, «è possibile scorrere la graduatoria al beneficiario del livello successivo».
Alla luce della ricostruzione operata, la Corte ritiene, nel caso di specie, di condividere le ragioni ostative già espresse dalla Ragioneria e quindi di dover attestare l’illegittimità del decreto di concessione del congedo alla docente, in presenza del figlio del soggetto meritevole di assistenza (suocero della docente).
Nel caso di specie, il figlio, primo beneficiario del diritto “inalienabile e intrasmissibile” al congedo, era stato considerato ammalato sulla base di un certificato medico, peraltro formato a posteriori rispetto alla concessione del congedo stesso, che non avrebbe attestato le patologie indicate nel richiamato D.M.
Il Dirigente scolastico avrebbe assunto, alla base della decisione di concessione, la disposizione di cui all’art. 2, comma 1, lett. c del decreto, ovvero «situazioni di grave disagio personale».
Ebbene, la Corte rileva come la normativa richiamata a giustificazione della concessione dal dirigente sia inconferente con il caso in esame, poiché riferita al diverso caso del congedo per gravi motivi familiari.
L’art. 42 del D.Lgs. 151/2001, invece, applicabile al caso in esame, non consente una interpretazione estensiva, peraltro assai rischiosa; per usare le parole della Corte, infatti, la locuzione «“grave disagio personale” introdurrebbe un concetto di carattere fortemente soggettivo di difficile perimetrazione, del tutto, difforme dai criteri individuati per il congedo di cui all’art. 42».
L’interpretazione appena richiamata della Corte dei Conti induce ad usare estrema cautela nella concessione del beneficio in esame, considerando con attenzione tutti gli elementi a corredo della domanda, la congruenza con la normativa in esame e le interpretazioni istituzionali intervenute, come quella appena riportata.