Nel n. 49 di Sinergie di Scuola, Francesca Romana Ciangola, nell'articolo "Legge 104: gli abusi e la stretta sui controlli", si è occupata di permessi per assistere un parente o affine disabile grave, in particolare dal punto di vista del corretto utilizzo del permesso per la finalità per la quale viene richiesto.
L'autrice ha spiegato, in particolare, cosa può accadere se si richiede il permesso per assistere una persona disabile e si occupa invece quella giornata per fare altro (ad esempio, si va in vacanza). Ed ha illustrato quali sono gli strumenti che ha in mano il datore di lavoro, quindi il Dirigente scolastico per il personale della scuola, sia per verificare preventivamente se il dipendente ha diritto o meno al permesso, sia per un eventuale controllo successivo.
A tale proposito, qualche giorno fa la Corte di Cassazione ha pubblicato la sentenza n. 8784 del 30/04/2015, che ha dichiarato legittimo il licenziamento di un dipendente che, durante la fruizione del permesso per assistere la madre disabile grave, aveva partecipato ad una serata danzante. Una sentenza che suona un po' eccessiva, perché presupporrebbe un'assistenza continuativa ed esclusiva al disabile, che la legge non contempla da nessuna parte.
Ma vediamo cosa dice la sentenza.
La Suprema Corte ha in sostanza confermato la decisione della Corte di Appello dell'Aquila, secondo la quale, nel caso di specie, non rilevava il tipo di assistenza che il dipendente doveva fornire alla propria madre disabile, quanto piuttosto la circostanza che il lavoratore aveva chiesto un giorno di permesso retribuito - ex art. 33, terzo comma, della legge n. 104 del 1992, come modificata dalle leggi n. 53 del 2000 e n. 183 del 2010 - per "dedicarsi a qualcosa che nulla aveva a che vedere con l'assistenza".
Il dipendente, per la Corte, aveva dunque usufruito di una parte di questo permesso per finalità diverse da quelle a cui il permesso mirava, giacché, essendo il permesso richiesto finalizzato all'assistenza di persona portatrice di handicap, egli non poteva chiedere il predetto permesso per altra finalità del tutto estranea all'assistenza.
Questo comportamento, secondo la Corte, implica "un disvalore sociale giacché il lavoratore aveva usufruito di permessi per l'assistenza a portatori di handicap per soddisfare proprie esigenze personali scaricando il costo di tali esigenze sulla intera collettività, stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall'ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi e costringe il datore di lavoro ad organizzare ad ogni permesso diversamente il lavoro in azienda ed i propri compagni di lavoro, che lo devono sostituire, ad una maggiore penosità della prestazione lavorativa".
E inoltre "proprio per gli interessi in gioco, l'abuso del diritto, nel caso di specie, era particolarmente odioso e grave ripercuotendosi senz'altro sull'elemento fiduciario trattandosi di condotta idonea a porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti".
Come dicevamo, la decisione assunta dalla Cassazione lascia un po' perplessi, in quanto eccessivamente restrittiva, anche perché, a meno che non si tratti di lavoro notturno (ma questo la sentenza non lo dice), il lavoratore in questione si era recato ad una "serata danzante", presumibilmente al di fuori dell'orario di lavoro e magari dopo aver assistito la madre per tutto la giornata per la quale era stato richiesto il permesso.