Nel fissare i limiti dell’obbligo di reperibilità del lavoratore alle visite di controllo la Corte di Cassazione ha più volte precisato (e lo ribadisce con la sentenza n. 24681/2016) che è richiesto al lavoratore un comportamento (e cioè la reperibilità nel domicilio durante prestabilite ore della giornata) che è, ad un tempo, un onere all’interno del rapporto assicurativo ed un obbligo accessorio alla prestazione principale del rapporto di lavoro, ma il cui contenuto resta, in ogni caso, la "reperibilità" in sé.
Ne consegue che l’irrogazione della sanzione può essere evitata soltanto con la prova, il cui onere grava sul lavoratore, di un ragionevole impedimento all’osservanza del comportamento dovuto.
Pertanto, il dipendente non può limitarsi a produrre il certificato medico attestante l’effettuazione di una visita specialistica in concomitanza con le fasce orarie di reperibilità, ma deve dare dimostrazione delle "comprovate necessità" che impediscono l’osservanza delle fasce orarie, e cioè che la visita non poteva essere effettuata in altro orario al di fuori delle predette fasce, "ovvero che la necessità della visita era sorta negli orari di reperibilità, tenuto conto che il giustificato motivo di assenza del lavoratore ammalato dal proprio domicilio durante le fasce orarie di reperibilità si identifica in una situazione sopravvenuta che comporti la necessità assoluta ed indifferibile di allontanarsi dal luogo nel quale il controllo deve essere esercitato".
Tale principio di diritto è stato ancora e più di recente ribadito da Cass. n. 3226/2008, per la quale "in tema di controlli sulle assenze per malattia dei lavoratori dipendenti, volti a contrastare il fenomeno dell’assenteismo e basati sull’introduzione di fasce orarie entro le quali devono essere operati dai servizi competenti accessi presso le abitazioni dei dipendenti assenti dal lavoro, […] la violazione da parte del lavoratore dell’obbligo di rendersi disponibile per l’espletamento della visita domiciliare di controllo entro tali fasce assume rilevanza di per sé, a prescindere dalla presenza o meno dello stato di malattia, e può anche costituire giusta causa di licenziamento".
Nel caso di specie, la Corte di appello aveva giustamente accertato come l’appellante non solo non avesse mai documentato, neppure ex post, alcuna causa di giustificazione in relazione all’assenza dal domicilio, ma avesse, per le quattro assenze precedenti, prodotto certificati medici, oggetto di specifico esame, inidonei a provare un serio e fondato motivo che giustificasse l’assenza alle visite domiciliari di controllo.