Il lavoratore è libero di decidere come e dove utilizzare il periodo di ferie, ma tale libertà deve essere coniugata con l'obbligo di buona fede delle parti dei contratti a prestazioni corrispettive, che impone a ciascuna parte di preservare gli interessi dell'altra parte anche a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi giuridici, e che è violato non solo nel caso di dolo, ma anche di comportamento non improntato a diligente correttezza. Quindi è legittimo che il datore di lavoro possa sanzionare disciplinarmente il lavoratore per essersi recato durante distinti periodi di ferie in paese tropicale, contraendo ogni volta la malaria e così prolungando per malattia l'assenza dal lavoro.
Questa è la decisione assunta dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 1699 del 25 gennaio 2011.
Il caso di specie riguarda un lavoratore che ha richiesto un periodo di ferie motivato dall’esigenza di prestare cure alla madre malata; in realtà, il dipendente ha utilizzato le ferie per recarsi in Madagascar, esponendosi a un rischio che superava di gran lunga il livello di mera eventualità, considerata la prevedibilità del rischio di malattia derivante dalle ricadute morbose avvenute nelle precedenti occasioni in cui si era recato nel medesimo Paese.
“In caso di mancata prestazione lavorativa – rileva la Corte – da cui è affetto il lavoratore, la norma codicistica dettata dall’art. 2112 c.c. appresta una particolare tutela al lavoratore, rilevando che allo stesso è dovuta egualmente la retribuzione o l’indennità per il tempo determinato dalle leggi speciali, con la precisazione che il datore di lavoro ha diritto di recedere dal contratto a norma dell’art. 2118 c.c. solo una volta trascorso il periodo stabilito dalla legge”.
Ma tale norma deve essere armonizzata con i principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 del c.p.c., alla stregua dei quali il lavoratore deve comunque astenersi da comportamenti che possano ledere l’interesse del datore di lavoro alla corretta esecuzione della prestazione lavorativa.
Nel confermare la decisione della Corte territoriale, la S.C. ha evidenziato che l’appellante non ha in alcun modo provato di aver tenuto una condotta prudente e oculata, per limitare al minimo i suoi rischi e il pregiudizio per il datore, anzi, il lavoratore ha reiteratamente messo in atto comportamenti rischiosi.
E conclude: “La finalità specifica delle ferie di consentire al lavoratore di appagare le sue personali esigenze e di ritemprare le proprie energie non può essere soddisfatta in modo tale da compromettere invece il recupero delle normali energie psico-fisiche e pregiudicare l’aspettativa del datore di lavoro al corretto adempimento della prestazione lavorativa al termine del periodo feriale”.