Come più volte richiamato dalla Corte di Cassazione, “qualora l'Amministrazione sia condannata a risarcire il danno al terzo o all'alunno autodanneggiatosi, l'insegnante è successivamente obbligato in via di rivalsa soltanto ove sia dimostrata la sussistenza del dolo o della colpa grave, limite, quest'ultimo, operante verso l'Amministrazione ma non verso i terzi” (da ultimo Cass., sez.III, 3.3.2010 n.5067; id., sez.un. 27.6.2002 n. 9346).
Il principio è stato recentemente ribadito dalla Corte dei Conti, sezione Lombardia, con sentenza n. 41 del 19/03/2015, intervenendo sulla rivalsa del Miur nei confronti di un’insegnante di scuola elementare per un risarcimento danni pagato dal Ministero ad un alunno infortunatosi a scuola.
In particolare, il sinistro era consistito in un urto, all’uscita dell’edificio scolastico, da parte di un’alunna che aveva fatto pesantemente cadere il compagno, il quale aveva riportato la frattura dei denti incisivi centrali superiori con esiti permanenti e necessità di ricostruzioni periodiche prima di una protesi definitiva.
In quel frangente, la sentenza civile e successivamente la Procura contabile hanno ritenuto sussistere un difetto di vigilanza, in quanto la docente si era avviata verso le scale della scuola, precedendo gli alunni nella discesa delle scale e volgendo le spalle alla classe, senza poter percepire quanto avveniva alle sue spalle e senza accertarsi del comportamento dei propri alunni e, di conseguenza, di una possibile spinta tra compagni, evento “possibile e prevedibile” (secondo il giudice civile), omettendo dunque di osservare quello standard minimo di diligenza richiesto a chi svolge la professione di insegnante elementare.
La Corte dei Conti ha però ritenuto non probanti tali argomenti in ordine alla grave colpevolezza della convenuta e, soprattutto, li ha reputati astrattamente condivisibili, ma non attinenti e mal calati nel caso di specie.
Infatti, per i Giudici lo “spintone” dato dalla alunna al compagno era in primo luogo assai difficilmente prevedibile, considerata l’assoluta correttezza comportamentale della bambina, che non potevano far immaginare un simile comportamento esulante da proprie abitudini.
Inoltre, secondo la Corte dei Conti, la dinamica dei fatti (alunni in fila per le scale per l’uscita dalla scuola in presenza dell’insegnante) rende evidente che anche il miglior maestro che avesse fissato direttive persino “minatorie” sulle modalità di uscita, che fosse stato con lo sguardo proteso verso gli alunni e che fosse stato in cima alle scale e non a valle, non avrebbe potuto evitare, quand’anche lo avesse previsto, lo specifico sinistro di cui fu sfortunato protagonista l’alunno.
Ben diverso sarebbe stata la situazione nel caso in cui la docente fosse stata assente o intenta a conversare con colleghi. Ma, nella specie, era presente, a pochi metri dai due alunni, ma comunque nella fisica e oggettiva impossibilità di evitare un evento repentino e improvviso che, secondo criteri di ordinaria diligenza, un insegnante in identica situazione non avrebbe potuto evitare.
Quindi, conclude la Corte, non c’è “la adeguata prova della “colpa grave” imposta dall’art.1, l. n.20 del 1994 per addivenire a condanna di un pubblico dipendente in sede amministrativo-contabile, essendo nella specie il sinistro scolastico imprevedibile e comunque non impedibile”.