In caso di assoluzione del lavoratore dopo un periodo di detenzione, non sussiste l'obbligo di reintegra nei sui confronti, qualora il comportamento del datore di lavoro non sia stato dettato esclusivamente dalla custodia cautelare.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 24366/2010 ha sottolineato che nel caso di specie non può essere applicata la norma di cui all’articolo 102-bis disp. att. c.p.p., (introdotto dalla L. n. 332 del 1995, art. 24), il quale prevede che “chi sia stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere ovvero a quella degli arresti domiciliari ha diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro qualora venga pronunciata in suo favore sentenza di assoluzione, di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero venga disposto provvedimento di archiviazione, presuppone che il licenziamento sia stato determinato dallo stretto rapporto di causalità con la detenzione, e cioè che il recesso del datore di lavoro sia fondato esclusivamente sul fattore obiettivo dello status custodiae del prestatore d'opera, cosicché la citata disposizione non può dare titolo alla reintegrazione nel posto di lavoro qualora il licenziamento risulti giustificato in via autonoma sulla base di elementi ulteriori rispetto alla mera assenza del lavoratore determinata da provvedimento cautelare".
Se quindi le ragioni del licenziamento non sono imputabili esclusivamente alla detenzione del lavoratore, non sussiste l’obbligo di reintegra, per cui, se il lavoratore vuole rientrare al proprio posto, è necessario dar corso alla normale procedura di impugnazione.