Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 18056 del 2/05/2023) ha giudicato il caso di due genitori che erano stati condannati per diffamazione poiché avevano inviato una mail al Dirigente scolastico nella quale si affermava che una docente del proprio figlio minore aveva compiuto errori, chiaramente nella gestione del rapporto educativo con il figlio, che non erano da ritenersi frutto di disattenzione e negligenza quanto piuttosto di volontà manifesta a danneggiare il ragazzo.
La Corte di Cassazione, nella sua decisione, premette che la libertà di esprimere giudizi critici, cioè “giudizi di valore”, trova il solo, ma invalicabile limite nell’esistenza di un “sufficiente riscontro fattuale” e che, al fine di valutare la giustificazione di una dichiarazione contestata, è sempre necessario distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore: perché, se la materialità dei fatti può essere provata, l’esattezza dei secondi non sempre si presta ad essere dimostrata.
Partendo da questa sentenza, Marco Lucarelli, nel n. 130 - Giugno 2023 di Sinergie di Scuola, spiega quando si può parlare di reato di diffamazione e quando invece si può invocare la libertà di espressione del libero pensiero.