La riforma del pubblico impiego è cosa fatta? Direi di no, e per tutta una serie di motivi.
È prevista la riapertura della stagione contrattuale, da troppo tempo inagibile a causa della crisi. Ci sono, però, alcuni nodi da sciogliere. In particolare:
Le risorse. Per arrivare ai fatidici 85 euro al mese di media occorrono più di un miliardo per il solo comparto Ministeri che vanno ricercati nella manovra di autunno, sempre che Bruxelles apra le maglie sul debito.
La perequazione. Occorre suddividere il dato medio tra i vari profili. Il Ministro Madia dice che saranno privilegiati i redditi bassi con misure anti proporzionali con gli attuali redditi.
I nuovi comparti. Che vanno ridotti da 11 a 4. Cosa buona e giusta, salvo che si riesca a contemperare le richieste dei vari ambienti che confluiranno nei nuovi comparti. Mentre per sanità ed enti locali cambia poco, rimanendo i comparti tal quali sono, per il comparto della “Conoscenza” si accorperanno scuole e non docenti delle Università, ambienti classicamente divisi sui temi retributivi.
Sul piano disciplinare vengono introdotti dieci casi in cui è possibile licenziare il dipendente. Mi voglio soffermare su quello relativo allo scarso rendimento per tre anni consecutivi: è una questione molto delicata. In assenza di un sistema di valutazione oggettivo e funzionale si rischia da una parte di rendere inapplicabile la norma, dall’altra l’aumento di eccessiva discrezionalità del dirigente, che peraltro può essere sottoposto alla stessa misura sanzionatoria nell’ipotesi di non attivazione del procedimento disciplinare.
Si aggiunga a tutto ciò l’ipotesi non peregrina di un voto ad inizio autunno che provocherebbe certamente uno stand-by a tutta la riforma.
Staremo a vedere... intanto, con l’ultimo numero dell’a.s. 2016/2017, auguro a tutti i lettori buone vacanze!