Una recente pronuncia del Consiglio di Stato, come vedremo importantissima per la ricostruzione storico-sociale-normativa che reca e anche per le forti implicazioni pratiche per i Dirigenti scolastici, pone l’accento su un problema annoso del sistema ordinamentale italiano degli ultimi anni, ovvero lo scollamento tra indicazioni normative di principio (accompagnate, spesso, da una organizzazione normativa complessa, stratificata, confusa e talora contradditoria), e altre disposizioni, specie – come nel caso in questione – quando si tratta delle manovre di contenimento della spesa pubblica.
Tale confusione, causa primaria della cattiva burocrazia che tanto interessa una parte preponderante dell’informazione, si rivela dannosa per i cittadini, faticosa per gli operatori del diritto, gravosa per le casse dello stato, e – ciò che è più grave – lesiva per gli strati sociali più deboli e bisognosi di tutela.
È il caso di cui tratteremo, ovvero la tutela (mancata) degli alunni con disabilità e delle loro famiglie.
Come noto agli esperti del settore, la tutela accordata agli studenti con disabilità è conquista abbastanza recente, frutto di aperture (in senso di integrazione e solidarietà) nei confronti di bambini e studenti svantaggiati che debbono avere, per il legislatore più recente, le stesse possibilità di tutti.
Le tutele sono state previste nel nostro ordinamento, principalmente, con la Legge 104/1992, che ha disciplinato la figura dell’insegnante di sostegno e recato il punto di svolta per una platea, gli alunni colpiti da disabilità, che prima della Costituzione, e anche ad opera di leggi successive, veniva relegata nelle cosiddette “scuole speciali” e “classi differenziali”.
Tale sistema escludente venne solo parzialmente superato negli anni successivi con normative che, pur gradualmente, hanno introdotto principi di sostegno e integrazione, poi ribaditi anche dalla Corte Costituzionale che, ad esempio con sentenza 215/1987, garantì le misure di tutela per tutti i gradi dell’istruzione, non solo per la scuola dell’obbligo (come avveniva in precedenza).
Sulla scia del riconoscimento della valenza costituzionale dei diritti degli alunni con disabilità, nel 1992 la Legge 104 (“Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”), ha disciplinato in maniera organica il diritto all’integrazione e all’istruzione degli alunni disabili.
Molte norme e disposizioni si sono succedute nel tempo in materia, tuttavia; per usare le parole del Consiglio di Stato «la normativa scolastica [ad oggi] è non soltanto disorganica e complessa di per sé, ma si caratterizza anche per una singolare commistione di procedimenti aventi natura eterogenea. In materia, infatti, rilevano da un lato i procedimenti disciplinati dalla legge n. 104 del 1992 e dalle altre leggi con essa coerenti, che tengono conto delle esigenze dei singoli alunni disabili. Dall’altro lato, vi sono però i distinti procedimenti volti alla determinazione dei contingenti del personale di sostegno, da assegnare ai singoli Istituti scolastici: tali procedimenti sono di solito disciplinati dalle leggi sul contenimento della spesa pubblica».
Tale situazione si è tradotta, negli ultimi anni, in una gestione amministrativa complessa del fenomeno, nella contrazione di diritti altrimenti garantiti e in un aumento esponenziale del contenzioso, che peraltro molto spesso esita in sentenze di annullamento e condanna per le amministrazioni dello Stato, con ovvi riflessi negativi anche per la spesa pubblica.
Le indicazioni più recenti del Consiglio di Stato
La sentenza n. 2023 del Consiglio di Stato, pubblicata il 3/05/2017, è stata emanata su ricorso del MIUR e dell’USR Toscana, contro una sentenza TAR di accoglimento delle pretese dei genitori all’ampliamento delle ore di sostegno, concesse dal Dirigente scolastico in numero inferiore rispetto alla richiesta originaria; nello specifico, ne erano state assegnate 13 a fronte di una esigenza di 25. Per inciso, la pronuncia interviene anche a conferma della competenza, in merito alla decisione, del giudice amministrativo, contestata invece da parte ministeriale.
Nel respingere il ricorso, e confermando la pronuncia di primo grado del TAR e le richieste della famiglia, la magistratura amministrativa di appello esegue una utilissima ricognizione sul tema, giungendo a conclusioni di rilevanza pratica notevole.
Dopo aver ricostruito, come detto, la normativa sul punto risalente e quella vigente, e rammentato le responsabilità del legislatore nell’aver creato una situazione confusa, complessa e stratificata, la magistratura amministrativa giunge a delineare lo stato di fatto della gestione amministrativa delle esigenze degli alunni disabili, alla luce del notevole contenzioso degli ultimi anni, e a delineare il comportamento auspicabile dei Dirigenti scolastici.
Il Collegio inoltre interviene dopo aver trattenuto in decisione molteplici cause tutte incentrate sul medesimo oggetto, ovvero sul ricorso dei genitori per ottenere il riconoscimento, per i propri figli, delle ore di sostegno riconosciute dai GLOH (Gruppo di lavoro operativo handicap), e rileva la necessità che, proprio per l’ampiezza del contenzioso, si sviluppino perlomeno prassi comportamentali comuni, attesa anche la complessa normativa e i numerosi interventi amministrativi (circolari, disposizioni ecc.) dalla dubbia“valenza” normativa.
La fase procedimentale
Come noto agli operatori scolastici, due procedimenti principali si innestano nella fattispecie in esame:
- Il primo è il riconoscimento del deficit, che si articola in: individuazione (accertamento) dello stato di disabilità da parte della ASL,tramite apposita certificazione, che va sollecitata dalle famiglie oppure segnalata del Dirigente scolastico; redazione del profilo dinamico funzionale (P.D.F.) ad opera della équipe multidisciplinare, che segue la diagnosi e indica il livello di sviluppo; elaborazione del piano educativo personalizzato (PEI), che descrive gli interventi predisposti per l’alunno ed è elaborato da operatori sanitari e scolastici e in collaborazione con i genitori (GLOH), struttura di recente coinvolta anche nelle attività da svolgere nei confronti dei BES.
- Il secondo, conseguente, è l’assegnazione delle ore. Il procedimento si avvia con la proposta da parte del GLOH, e passa poi al Dirigente scolastico, che trasmette la richiesta all’USR, il quale, a sua volta, assegna agli istituti i docenti di sostegno. È il Dirigente scolastico quindi che, sulla base delle ore fornite dall’USR, attribuisce le ore agli alunni disabili, ponendosi a margine di una catena che, nei fatti, avvia conflitti tra istituzioni e famiglie e numerosi casi di contenzioso. Il numero di ore richieste viene elaborato dai GLOH in base a precise fasce di gravità e al grado della scuola; il Dirigente, quindi, svolge un ruolo di tramite tra la struttura deputata alla definizione delle ore e l’USR che materialmente assegna le stesse, dovendo chiedere l’assegnazione degli insegnanti di sostegno in numero corrispondente alla copertura delle ore da attribuire, e, ricevuta la risposta, disporre delle ore di insegnamento degli insegnanti di sostegno, attribuendo poi con atti formali le singole ore.
Le complicazioni operative
Come nota opportunamente il Consiglio di Stato, il procedimento è scisso tra le proposte ad personam, indicate dal GLOH, e l’individuazione del contingente di personale, che spetta invece a Dirigenti e USR; tale cesura concretizza il rischio che si assegnino meno ore di quelle richieste dalle strutture deputate ad individuarle.
Per inciso, la materia dell’assistenza agli alunni con certificazione è complicata da altri aspetti: dall’assegnazione dell’insegnante alla classe e non al singolo alunno, dalla specializzazione degli insegnanti stessi, dalla carenza di A.E.C. (Assistenti Educativi di Comunità, di assistenza materiale a sostegno degli alunni in grave disabilità, di competenza degli enti locali), determinata da motivi economici, da conflitto di competenza tra Comuni e Province, fino alle misure di riduzione degli organici, che hanno inciso, negativamente, anche sugli insegnanti di sostegno, creando lo sviluppo delle assunzioni in deroga.
A questo proposito, le misure che fissavano un tetto massimo del numero di insegnanti di sostegno anche in deroga, previste dalla Legge 244/2007, sono state dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale con la famosa sentenza 80/2010, che ha posto in alcuni illuminanti passaggi l’accento sulla tutela da garantire agli alunni in difficoltà, che sarebbe gravemente compromessa da norme limitative delle ore assegnabili. Anche la giurisprudenza successiva ha ribadito il diritto all’istruzione del disabile quale principio fondamentale, per cui il Dirigente scolastico deve tener conto delle richieste e delle esigenze.
Alla luce di quanto descritto, il Consiglio di Stato nota come il quadro normativo confligga con l’enormità e la delicatezza del problema, insistendo sul come le misure di contenimento della spesa stesse contrastino con i diritti fondamentali; in questa situazione, il rischio che l’USR operi senza trasparenza, inducendo i Dirigenti scolastici a provvedimenti ad alto rischio di impugnazione, con contenziosi poi persi in sede di giudizio, è molto alto, con riflessi sulla gestione della cosa pubblica, SSN e possibilità di danno erariale, soprattutto perché nessuna norma, sottolinea il Collegio, sembra sottintendere che l’USR o il Dirigente scolastico possano ridurre il numero delle ore di sostegno individuate dal GLOH.
In questo punto è l’importanza pratica della sentenza che si esamina, ove si afferma che non trova fondamento alcuno il potere auto-assegnato delle strutture ministeriali di riduzione di quanto deciso dagli organi competenti, avendo l’USR, sul punto, solo un potere ricognitivo.
Cosa è quindi consigliabile al Dirigente scolastico, figura ultima della catena che dispone materialmente l’assegnazione delle ore? Qui il Consiglio di Stato offre delle indicazioni preziose.
Indicazioni pratiche per i Dirigenti scolastici
Il Consiglio di Stato rammenta che i P.E.I., elaborati dai GLOH all’interno dei singoli istituti, debbono essere la base le cui risultanze vanno trasmesse all’USR, da parte dei Dirigenti; su questa base «gli Uffici scolastici [...] devono attribuire ai singoli Istituti tanti insegnanti di sostegno, quanti ne sono necessari per coprire tutte le ore che sono risultate oggetto delle “proposte”, salva la possibilità di esercitare un potere meramente correttivo, sulla base di riscontri oggettivi(è questo il caso, ad esempio, di errori materiali, ovvero del fatto che singoli alunni non siano più iscritti presso un dato istituto, perché trasferitisi altrove) [...] Il Dirigente scolastico tranne i casi in cui prenda atto della correzione di errori materiali o delle circostanze ostative [...] deve attribuire a ciascun alunno disabile un numero di ore di sostegno corrispondente a quello oggetto della singola proposta del GLOH [...]».
È quindi evidente, per la magistratura amministrativa, che sono i GLOH a determinare le ore spettanti agli alunni in difficoltà, avendo le figure amministrative dei Dirigenti scolastici e degli USR, in questo caso, una mera funzione, rispettivamente, di trasmissione e di ricognizione.
Continua il Consiglio con l’inciso fondamentale: «[...] i Dirigenti scolastici, i quali ovviamente devono evitare di emanare atti illegittimi, devono essi stessi disporre l’attribuzione delle ore nella medesima misura, anche quando gli Uffici scolastici non abbiano assegnato le risorse indispensabili».
Questo dovrebbe essere il procedimento come delineato dalla legge e dalla conforme interpretazione della giurisprudenza; cosa accade, tuttavia, nel caso gli USR non abbiano assegnato le ore necessarie? È la stessa magistratura a porsi il problema:
In tal caso, il Dirigente scolastico stesso:
deve segnalare agli Uffici scolastici tale circostanza, affinché questi assegnino senza indugio gli ulteriori insegnanti di sostegno che risultino necessari, e ciò con il supporto del Ministero dell’economia e delle finanze, anch’esso tenuto a dare esecuzione agli atti del Dirigente scolastico che abbiano concluso i procedimenti riguardanti i singoli alunni disabili, sulla base delle «proposte» del GLHO;
qualora risulti la notifica di un ricorso, proposto al giudice [...] col quale sia lamentata la mancata fruizione delle ore di sostegno formalmente attribuite, a causa dell’insufficienza delle risorse rese disponibili [...] deve trasmettere una relazione alla competente Procura della Corte dei Conti [...];
non può che affrontare la situazione venutasi a creare suo malgrado contra legem e redistribuire provvisoriamente le ore di sostegno, in attesa che siano rese disponibili dall’Ufficio regionale tutte le necessarie risorse.
Il Consiglio quindi, nella consapevolezza delle difficoltà operative dei Dirigenti scolastici a fronte di assegnazione di ore sistematicamente ridotte rispetto alle richieste, formula un vero atto d’accusa nei confronti del sistema, per cui solo i genitori abbienti, e con maggiori risorse, possono aver ragione di pretese costituzionalmente tutelate e affermate; viceversa, il sistema deve far sì che gli alunni e le loro famiglie non debbano proporre ricorsi giurisdizionali per ottenere ciò che è loro dovuto.
Per il Consiglio, limpidamente, «[...] Va infatti considerato responsabile il Ministero dell’Economia e delle Finanze, qualora l’illegittimità derivata di un atto del Dirigente scolastico (comunque a lui non imputabile) dipenda dagli atti degli Uffici scolastici, e questi a loro volta siano conseguenti alle determinazioni del medesimo Ministero di non dar luogo alla copertura delle spese che si siano manifestate necessarie per l’assunzione degli insegnanti di sostegno [...]».
L’obbligo di denuncia alla Corte dei Conti
Nella relazione alla Corte dei Conti, prevista come obbligo del Dirigente nel caso di ricorso per numero di ore inferiori alle richieste, sembra configurare ipotesi di denuncia in capo ai dipendenti pubblici nel corso delle loro funzioni, di cui avevamo trattato nel mese di dicembre 2016 (“Gli obblighi di denuncia dei pubblici dipendenti”).
Alla luce del richiamo operato dal Consiglio di Stato proprio di tale dovere, è d’uopo ricordare, sul punto, l’art. 52 del D.Lgs. 174/2016 (c.d. Codice di riforma della giustizia contabile) che dispone:
1. Ferme restando le disposizioni delle singole leggi di settore in materia di denuncia di danno erariale, i responsabili delle strutture burocratiche di vertice delle amministrazioni, comunque denominate, ovvero i dirigenti o responsabili di servizi, in relazione al settore cui sono preposti, che nell’esercizio delle loro funzioni vengono a conoscenza, direttamente o a seguito di segnalazione di soggetti dipendenti, di fatti che possono dare luogo a responsabilità erariali, devono presentarne tempestiva denuncia alla procura della Corte dei conti territorialmente competente. Le generalità del pubblico dipendente denunziante sono tenute riservate.
2. Gli organi di controllo e di revisione delle pubbliche amministrazioni, nonché i dipendenti incaricati di funzioni ispettive, ciascuno secondo le singole leggi di settore, sono tenuti a fare immediata denuncia di danno direttamente al procuratore regionale competente, informandone i responsabili delle strutture di vertice delle amministrazioni interessate.
3. L’obbligo di denuncia riguarda anche i fatti dai quali, a norma di legge, può derivare l’applicazione, da parte delle sezioni giurisdizionali territoriali, di sanzioni pecuniarie.
[…]
6. Resta fermo l’obbligo per la pubblica amministrazione denunciante di porre in essere tutte le iniziative necessarie a evitare l’aggravamento del danno, intervenendo ove possibile in via di autotutela o comunque adottando gli atti amministrativi necessari a evitare la continuazione dell’illecito e a determinarne la cessazione.
Nel caso di specie, per i Dirigenti scolastici, come richiamato dalla magistratura amministrativa, sarebbe obbligo segnalare alla Corte dei Conti competente per territorio un caso evidente di danno erariale, probabilmente consistente nel danno da soccombenza giudiziaria; a fronte di un contenzioso in materia così esteso, e della soccombenza ormai certificata da un numero spropositato di vittorie da parte delle famiglie, è evidente che il fatto che possa dar luogo a responsabilità erariale sia contenuto in ogni decreto che diminuisca le ore originariamente richieste dagli organi competenti.
Si può configurare, a nostro avviso, anche l’ulteriore ipotesi di danno erariale da disservizio che, per utilizzare proprio le parole della Corte dei Conti del Veneto (sentenza n. 76 del 6/07/2017) si configura, nella sua accezione “in senso stretto”, verificata «la sussistenza di un’attività effettivamente qualificabile in termini di servizio verso il pubblico, e consiste in una condotta del pubblico dipendente che si risolva nella prestazione solo apparente – e dunque desostanziata – del servizio stesso; il danno erariale che ne deriva coincide in tal caso con il pregiudizio all’utenza per non aver potuto fruire di quel servizio o non avervi potuto godere nei termini previsti».