Con la fine dell’anno scolastico si avvicina il momento in cui il Comitato di valutazione è chiamato ad esprimere un parere sul superamento del periodo di formazione e prova dei docenti neo immessi in ruolo.
La responsabilità del giudizio finale (con relativa validazione o meno del percorso) è tuttavia sempre di pertinenza del Dirigente scolastico, come recita il D.M. 850/2015 (art. 13, comma 4): «Il parere del Comitato è obbligatorio, ma non vincolante per il Dirigente scolastico, che può discostarsene con atto motivato».
La materia riveste particolare importanza non solo per il futuro professionale dell’insegnante sottoposto a verifica, ma anche in termini di tutela dei diritti dell’utenza e di garanzia di efficacia del servizio scolastico.
Criteri di riferimento
Per comprendere appieno la complessità e la delicatezza della procedura è opportuno rammentare innanzitutto i riferimenti indicati nell’art. 4 del suddetto D.M. 850/2015, da considerare per verificare la padronanza degli standard professionali:
a. corretto possesso ed esercizio delle competenze culturali, disciplinari, didattiche e metodologiche, con riferimento ai nuclei fondanti dei saperi e ai traguardi di competenza e agli obiettivi di apprendimento previsti dagli ordinamenti vigenti;
b. corretto possesso ed esercizio delle competenze relazionali, organizzative e gestionali;
c. osservanza dei doveri connessi con lo status di dipendente pubblico e inerenti la funzione docente;
d. partecipazione alle attività formative e raggiungimento degli obiettivi dalle stesse previsti.
Standard professionali
I criteri sopra elencati (ribaditi anche nel D.M. 984/2017, che regolamenta il terzo anno del FIT) portano ad approfondire il significato di “standard professionali” del docente.
È opportuno, a questo punto, richiamarsi al documento di lavoro intitolato “Sviluppo professionale e qualità della formazione in servizio”, pubblicato dal MIUR in data 16/04/2018. Tale documento, dopo una parte introduttiva, si suddivide in tre aree che riportano il risultato di altrettanti gruppi di lavoro.
Il primo di questi gruppi – quello coordinato dal Dott. Cerini – ha cercato di definire il profilo e gli standard professionali dell’insegnante.
Le conclusioni della Commissione riguardano le connotazioni principali del ruolo del docente, che si declinano in cinque dimensioni: cultura, didattica, organizzazione, istituzione/comunità, cura della professione. Per ciascuno di tali criteri sono inoltre indicati tre livelli (principiante, base, esperto).
Secondo tale interpretazione, il ruolo dell’insegnante non può esaurirsi nell’orario di lezione tradizionalmente concepito in una dimensione individuale, pur comprensivo della necessaria preparazione.
Entrano in gioco, infatti, le capacità di gestione della classe, quelle (a livello didattico) di produzione e documentazione, quelle relazionali e comunicative con l’utenza, con i colleghi, con la comunità presente sul territorio.
Inoltre, è fondamentale la conoscenza delle norme, delle regole e delle responsabilità proprie del profilo professionale del docente in qualità di dipendente pubblico, come ad esempio i principi della Carta Costituzionale (art. 97 – imparzialità, art. 28 – responsabilità, art. 54 – disciplina e onore, art. 98 – servizio alla Nazione), nonché il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione (D.lgs. 297/1994) e il D.Lgs. 165/2001.
Non ultima, la già citata “cura della professione”, che prevede la tensione allo sviluppo della propria professionalità anche attraverso la partecipazione ad esperienze di formazione e che, inoltre, si manifesta attraverso la disponibilità ad assumere funzioni di responsabilità all’interno e all’esterno della scuola.
Decreto del Dirigente
Nell’ambito della valutazione finale dei docenti in anno di prova e formazione, la conferma o meno in ruolo sono espressi in un decreto del Dirigente scolastico che deve contenere le motivazioni del giudizio (favorevole o sfavorevole) con preciso riferimento al già citato art. 4, comma 1 del D.M. 850/2015 (padronanza degli standard professionali).
Il provvedimento che il DS è tenuto ad emanare deve essere, quindi, debitamente motivato, come si evince chiaramente dall’art. 14, comma 3 del D.M. 850/2015: «Il provvedimento indicherà altresì gli elementi di criticità emersi ed individuerà le forme di supporto formativo e di verifica del conseguimento degli standard richiesti per la conferma in ruolo».
Le difficoltà nel dimostrare un’eventuale inadeguatezza possono non riguardare la cultura professionale o didattica, la conoscenza della normativa o l’ambito della “cura professionale” (ad es. motivazione alla formazione e azioni conseguenti).
Per esperienza diretta, posso affermare che risulta piuttosto problematica la certificazione degli aspetti negativi relativi alla «[...] attitudine collaborativa nei contesti didattici, progettuali, collegiali, l’interazione con le famiglie e con il personale scolastico, la capacità di affrontare situazioni relazionali complesse [...]» (art. 4, comma 3 del D.M. 850/2015).
Tra l’altro, può presentarsi il caso di persone competenti sul piano culturale e normativo e molto motivate ad entrare permanentemente nel corpo docente, le quali tuttavia, per caratteristiche personali e caratteriali, non hanno i requisiti atti a garantire un rapporto corretto ed equilibrato con l’utenza (soprattutto con bambini o ragazzi).
In tali incresciosi frangenti il DS, oltre che sul parere fornito dal Comitato per la valutazione dei docenti, deve basare il giudizio in questione sulla documentazione pervenuta (compresa quella prodotta dal tutor) e sulla osservazione sul campo dei docenti in occasione della visita di cui all’art. 15, comma 5 del D.M. 850/2015.
Al Dirigente possono inoltre essere pervenute, da parte di altri colleghi o genitori degli alunni, eventuali comunicazioni scritte nelle quali si evidenziano le carenze sul piano relazionale o di gestione della classe da parte del docente.
A fronte di tali segnalazioni, il DS deve valutare tempestivamente la necessità di esercizio dell’azione disciplinare, prestando tuttavia attenzione ad individuare elementi oggettivi che possano giustificare l’irrogazione della sanzione.
Visita ispettiva
Tuttavia, come ho già avuto modo di osservare in un mio precedente contributo (Sinergie di Scuola, num. 77 – Marzo 2018), non sempre i colleghi sono disposti a segnalazioni di questo tipo, nonostante il Codice Deontologico dei docenti segnali il dovere, nell’ottica dell’etica verso la professione, di «contrastare, per quanto possibile, l’accesso alla professione di persone incompetenti».
A volte può addirittura accadere che, in presenza di soggetti mancanti del «corretto possesso ed esercizio delle competenze relazionali, organizzative e gestionali» ma competenti nella disciplina d’insegnamento, inclini alla formazione e padroni della normativa, neppure gli stessi membri del Comitato di valutazione si assumano fino in fondo l’onere di fornire un parere finalizzato ad impedire la prosecuzione del percorso lavorativo.
In caso di problematiche particolarmente complesse ci viene ancora una volta in aiuto il D.M. 850/2015 che, all’art. 14, comma 4 afferma: «Nel caso del manifestarsi di gravi lacune di carattere culturale, metodologico-didattico e relazionale, il DS richiede prontamente apposita visita ispettiva».
Quest’ultima può essere richiesta fin dal primo anno di formazione e di prova ed è obbligatoria nel caso di ripetizione per acquisire un indispensabile elemento di valutazione dell’idoneità del docente.
A seguito della visita ispettiva il dirigente tecnico produrrà una relazione, che costituirà parte integrante della documentazione da sottoporre al Comitato di Valutazione.
Mancato superamento del periodo di prova
Il riscontro di inadeguatezza per la prima annualità porta come conseguenza la ripetizione del periodo di formazione e di prova, come già stabilito dalla Legge 107/2015, art. 1, comma 119.
Un secondo mancato riconoscimento dell’adeguatezza di alcune competenze professionali porta come conseguenza il provvedimento di non conferma in ruolo e l’avvio del procedimento di dispensa dal servizio con risoluzione del contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Dal 1° gennaio 2013 il soggetto legittimato ad emettere l’atto di risoluzione del rapporto lavorativo per il mancato superamento del secondo anno di prova non è più il CNPI ma il DS.
Si tratta di un iter molto complesso al termine del quale il DS deve notificare formalmente all’interessato i provvedimenti adottati entro il termine perentorio del 31 agosto, pena la nullità.
Non dimentichiamo, infine, che «La mancata conclusione della procedura entro il termine prescritto o il suo erroneo svolgimento possono determinare profili di responsabilità» (D.M. 850/2015, art. 4, comma 4).