L’istituto dell’incompatibilità ambientale del docente è ancora disciplinato negli articoli 467, 468 e 469 del T.U. D.Lgs. 297/1994, sebbene il trasferimento d’ufficio sia già previsto nell’art. 70 del D.P.R. 417/1974, che lo dispone «per accertata situazione di incompatibilità di permanenza del personale nella scuola o nella sede».
In ambito scolastico, prima che si dia luogo ad un trasferimento di un docente per incompatibilità ambientale devono sussistere alcuni presupposti fondamentali, ricavabili proprio dall’art. 468 del D.Lgs. 297/1994, premettendo che l’articolo in questione è stato sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. c del Decreto Legge 147/2007, convertito in Legge 176/2007, e che la Legge 107/2015 non è intervenuta a modificare l’assetto esistente, risultando essere infatti ancora attivo l’interpello del Collegio dei docenti nella materia in questione.
La vigenza dei dispositivi del T.U. D.Lgs. 297/1994 è stata sottolineata anche nella Circolare Ministeriale 88/2009, che ha fornito “Indicazioni e istruzioni per l’applicazione al personale della scuola delle nuove norme in materia disciplinare introdotte dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150”.
Motivi di trasferimento per incompatibilità ambientale
Dalla lettura dell’art. 468 del D.Lgs. 297/1994 gli elementi che possono determinare un provvedimento di trasferimento da parte del Dirigente scolastico sono i seguenti:
- in caso di accertata situazione di incompatibilità di permanenza nella scuola o nella sede, il trasferimento può essere disposto anche durante l’anno scolastico (comma 1 dell’art. 468);
- se ricorrono ragioni di particolare urgenza, può essere nel frattempo disposta la sola sospensione dal servizio da parte del Dirigente scolastico, sentito il collegio dei docenti, se trattasi di personale docente ed educativo (comma 1 dell’art. 468);
- se le ragioni d’urgenza sono dovute alla sussistenza di gravi e comprovati fattori di turbamento dell’ambiente scolastico e di pregiudizio del rapporto tra l’istituzione scolastica e le famiglie degli alunni, conseguenti a specifici comportamenti di uno o più docenti, lesivi della dignità delle persone che operano nell’ambito scolastico, degli studenti e dell’istituzione scolastica, tali da risultare incompatibili con la funzione educativa, il Dirigente scolastico, può adottare il provvedimento di sospensione senza sentire il collegio dei docenti, (comma 2 dell’art. 468).
I motivi sottostanti alla decisione di trasferimento dei docenti per incompatibilità ambientale devono essere quindi accertati e circostanziati in maniera oggettiva. A proposito la Circolare 88/2010 sotto richiamata sottolinea che le misure cautelari urgenti ex art. 468 del D.lgs. 297/1994 «prescindono dalla rilevanza disciplinare dei comportamenti e sono finalizzate alla garanzia della regolarità e continuità dell’azione amministrativa e del servizio erogato e alla tutela del prestigio, del decoro e del corretto funzionamento dell’istituzione scolastica» (pag.24).
Il ruolo del collegio dei docenti e la prassi da seguire
Tra le competenze spettanti al collegio dei docenti, l’art. 7 del D.Lgs. 297/1994 indica al comma 2 lett. p che tale organo «esprime al direttore didattico o al preside parere in ordine alla sospensione dal servizio e alla sospensione cautelare del personale docente quando ricorrano ragioni di particolare urgenza ai sensi degli articoli 468 e 506».
Qualora ricorrano in effetti particolari ragioni d’urgenza, il Dirigente scolastico può disporre nel frattempo la sola sospensione dal servizio sentito il collegio dei docenti; se i motivi, al contrario, sono gravi e si profilano le motivazioni di cui al comma 2 dell’art. 468, il Dirigente scolastico può adottare il provvedimento di sospensione senza sentire il collegio dei docenti.
La convocazione dell’organo collegiale da parte del Dirigente scolastico, per poter disporre la sospensione dal servizio del docente, esige però durante la seduta dell’organo l’adozione di una particolare prassi di conduzione; difatti, poiché l’argomento in oggetto riguarda delle persone, l’espressione del parere, pur non potendo venire meno agli obblighi di trasparenza riguardo alla situazione soggettiva affrontata, richiede che i membri del collegio siano posti in una condizione di serenità nel riportare le loro motivazioni sulla questione. Pertanto il ricorso alla pratica della segretezza può valere come una delle condizioni da adottarsi all’interno della seduta, ma necessita poi di trovare una esplicitazione collettiva, processata appunto nel verbale della seduta.
In riferimento a ciò può venire in aiuto la Sentenza del Consiglio di Stato n. 1748 del 27/03/2002, che così si esprime al riguardo della votazione segreta, dispositivo che sappiamo essere menzionato anche nel D.Lgs. 297/1994 all’art. 37: «la segretezza del voto sulle questioni concernenti persone, [...] costituisce è vero, principio generale preordinato all’attuazione del precetto fondamentale della obiettività ed imparzialità dell’azione amministrativa, con particolare riguardo a materie nelle quali la riservatezza della espressione del voto è garanzia di indipendenza funzionale dei singoli componenti gli organi collegiali (Cons. Stato, VI Sez., 21 ottobre 1980 n. 886, in questa Rassegna 1980, I, 1398). [...] le opinioni espresse dai singoli componenti [...] costituiscono esplicazione delle ragioni addotte, per suffragare il contenuto della votazione, nel corso della trattazione di ciascun affare sottoposto all’esame dell’organo collegiale.
La votazione costituisce, infatti, strumento di manifestazione finale della volontà del collegio, quale è maturato attraverso l’enunciazione degli elementi di valutazione e comparazione degli interessi che formano oggetto della discussione, preordinata al confronto delle posizioni dei singoli membri per una più ponderata deliberazione.
Nel compendio di tali elementi si sostanzia, come sopra accennato, la motivazione dell’atto deliberativo collegiale, della quale costituisce documentazione tipica il verbale redatto nei modi di legge».
Nel caso relativo all’art. 468, la consultazione del collegio – pur se realizzata attraverso la segretezza – non può esimersi dall’esternare, se non dettagliatamente, i pareri emersi derivanti dai membri dell’organo collegiale.
Convalida del provvedimento e organi competenti
Il comma 1 dell’art. 468 dispone che il provvedimento di trasferimento d’ufficio, se disposto nei confronti di personale docente ed educativo, debba essere immediatamente comunicato per la convalida al dirigente dell’ufficio scolastico regionale, perché in mancanza di convalida, e in ogni caso in mancanza di presentazione della richiesta di parere dell’organo collegiale competente, nel termine di dieci giorni dall’adozione, il provvedimento di sospensione è revocato di diritto.
Il successivo art. 469, comma 1, prescrive che «il trasferimento d’ufficio del personale docente ed educativo, determinato da accertata situazione di incompatibilità di permanenza nella scuola o nella sede, è disposto dal dirigente preposto all’ufficio scolastico regionale, su parere del competente consiglio di disciplina del consiglio scolastico provinciale per il personale docente della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado, ovvero su parere del corrispondente consiglio per il contenzioso del Consiglio nazionale della pubblica istruzione per il personale docente degli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore e artistica. I suddetti pareri devono essere resi nel termine di novanta giorni successivi al ricevimento della richiesta, prorogabile di trenta giorni per l’effettuazione di ulteriori e specifici adempimenti istruttori che si rendano necessari. Decorso inutilmente tale termine, l’amministrazione può procedere all’adozione del provvedimento» (comma così sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. c-bis, n. 1, D.L. 7/09/2007, n. 147, convertito, con modificazioni, dalla Legge 25/10/2007, n. 176).
Natura del trasferimento per incompatibilità ambientale
Sui motivi che determinerebbero una situazione di incompatibilità ambientale e che la norma del T.U. 297/1994 succitata raccomanda siano accertati, fanno luce i dispositivi emessi da alcune sentenze sull’argomento che precisano anzitutto sulla natura del provvedimento.
Il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione (CNPI), in un’adunanza risalente al 13 dicembre 2006, ha dato però un contributo sulla materia disciplinare, affermando alcuni principi che assumono ancora oggi, benché sia intervenuto il D.Lgs. 150/2009, un rilievo significativo, nel momento in cui il funzionario preposto alla struttura amministrativa ovvero il Dirigente scolastico, si trovi nelle condizioni di definire un trasferimento per incompatibilità ambientale:
Il CNPI ritiene che l’azione disciplinare non debba dispiegarsi in un’ottica puramente repressiva, ma attraverso la correzione o l’inibizione dei comportamenti sanzionati, promuovere andamenti virtuosi che tutelino il lavoro scolastico, garantiscano le famiglie e gli studenti e valorizzino, contestualmente, l’impegno del personale.
Il Consiglio pone quindi l’accento sulla necessità di promuovere comportamenti a tutela della qualità del lavoro all’interno dell’ambiente scolastico. Il richiamo esplicito è la garanzia del benessere organizzativo che il datore di lavoro è tenuto a realizzare all’interno della struttura organizzativa, inibendo pertanto situazioni di conflitto che potrebbero in teoria essere determinati non solo dal soggetto che si intende trasferire, ma anche da altri soggetti interni che gravitano intorno a lui. Almeno inizialmente questi tentativi di «correzione ed inibizione dei comportamenti sanzionati» dovrebbero essere compiuti dal Dirigente scolastico.
Trasferimento illegittimo se determinato a causa di altri soggetti dell’ambiente
Sulla responsabilità di altri soggetti, nella Sentenza del Tribunale di Brescia n. 305/2000 il giudice ha sostenuto che «mai il trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale può ritenersi legittimo, se idoneo a determinare un danno ingiusto nei confronti di un soggetto divenuto incompatibile con l’ambiente, senza propria colpa e per fatto imputabile ad altri componenti del medesimo ambiente».
La nozione di conflitto tra dipendenti deve estendersi a quella più ampia di ambiente
Un’altra Sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV n. 3651 del 19/06/2006 ha sottolineato che il trasferimento per incompatibilità ambientale non può essere determinato solo da una situazione di contrasto tra i dipendenti di una unità organizzativa, dovendo il concetto di contrasto declinarsi in una accezione più ampia con la nozione di “ambiente”; nel dispositivo si legge infatti: «non a caso l’incompatibilità, che può senz’altro essere determinata dal venir meno del rapporto di fiducia, nei termini della norma citata, da sola non basta, come palesa l’essere stata affiancato a tale locuzione anche il sostantivo, in funzione aggettivante, di “ambientale”, proprio per sottolineare che la situazione da considerare deve delinearsi ben al di là di un contrasto, ancorché grave, tra impiegati, e tradursi in pregiudizio per l’ambiente di lavoro, compromettendone il funzionamento, senza che a ciò possa esservi altrimenti rimedio, ovvero determinandone il discredito all’esterno. Ed invero, un contrasto in sé può non essere di ostacolo a che gli impiegati ed i funzionari implicati attendano compiutamente ai rispettivi compiti, ovvero può non determinare automaticamente pregiudizio al prestigio dell’ufficio».
Natura sanzionatoria e rispetto dell’iter procedimentale
Altro aspetto sottolineato nel Documento elaborato dal CNPI è il carattere sanzionatorio spesso attribuito al trasferimento per incompatibilità ambientale «che la norma, invece, non ha inteso attribuirgli». A tale determinazione il CNPI aggiunge anche le disfunzioni organizzative: «lacune istruttorie, ritardi, silenzi e assenze da parte dei vari livelli dell’Amministrazione; silenzi o ritardi che hanno potuto incidere nella valutazione finale, non poche volte determinando l’estinzione obbligatoria del procedimento stesso con la deleteria, ulteriore conseguenza che ne ha precluso la rinnovazione per gli stessi fatti contestati».
Insieme alla repressione di comportamenti non corretti in ambiente scolastico, l’esclusione del carattere sanzionatorio del trasferimento, ma solo cautelare, e il rispetto della tempistica indicata nella norma sono perciò attributi inalienabili nel procedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale, inteso che i comportamenti che delineano un tale provvedimento debbano essere, come già detto, scrupolosamente verificati.
Sull’aspetto non sanzionatorio si è espressa la Sentenza della Corte di Cassazione sez. lavoro n. 11589/2003:
Il trasferimento degli insegnanti per incompatibilità ambientale, che è disciplinato dagli art. 468 e 469 del D.Lgs. 297 del 1994, che prevede il trasferimento d’ufficio degli insegnanti anche durante l’anno scolastico, per accertata situazione di incompatibilità con la permanenza a scuola, ove la contrattazione collettiva non abbia diversamente disposto, e per quanto non previsto, dai principi generali fissati dall’art. 2103 c.c., ha natura cautelare e non disciplinare.
L’avvio del procedimento va comunicato al dipendente interessato
Il provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale è soggetto alla procedura prevista dall’art. 7 della Legge 241/1990, ovvero la “Comunicazione di avvio del procedimento”.
In merito a tale comunicazione si riporta lo stralcio della Sentenza n. 5718 del 7/11/2001 del Consiglio di Stato, in cui viene proprio chiarito tale principio da rispettare:
[...] la funzione della comunicazione di avvio del procedimento è, infatti, proprio quella di rendere possibile la partecipazione dell’interessato alla formazione del provvedimento finale, in particolare consentendo all’interessato di rappresentare all’Amministrazione fatti, circostanze, osservazioni e quant’altro di cui essa deve tenere conto per adottare un provvedimento concreto, utile, legittimo e conforme ai principi costituzionali sanciti dall’art. 97 della Costituzione.
In effetti la comunicazione di avvio del procedimento è lo strumento che rende concretamente possibile l’emersione in tutta la sua interezza del substrato materiale su cui andrà ad incidere l’adottando provvedimento e cioè gli interessi privati di cui è portatore l’interessato nei cui confronti il provvedimento è destinato a produrre effetti, consentendo cosi all’Amministrazione di poter svolgere compiutamente, complessivamente ed esaustivamente la comparazione tra l’interesse pubblico che si intende perseguire con l’adottando provvedimento e gli interessi privati che da esso sarebbero incisi.
È infatti solo da questa comparazione che, secondo la ratio della legge n. 241 del 1990, può nascere il giusto provvedimento, conforme ai principi di legalità, buon andamento e imparzialità, sanciti dalla carta costituzionale [...] la finalità dell’obbligo di informazione sancito dall’art. 7 della legge n. 241 del 1990 è quella di conoscenza della realtà fattuale su cui è destinato ad incidere l’adottando provvedimento amministrazione.
La sentenza argomenta ancora sull’art. 7 della Legge 241/1990 sostenendo che esso abbia principalmente «l’obiettivo di conoscenza, di far emergere cioè gli interessi privati per consentirne la valutazione ed il bilanciamento con l’interesse pubblico che l’Amministrazione intende perseguire con l’adottando provvedimento. Del resto, esemplificativamente, proprio con riferimento ad una situazione di incompatibilità ambientale, la partecipazione del dipendente al procedimento con la presentazione di memorie, osservazioni e documenti, può consentire l’effettivo chiarimento dei fatti e comportamenti riferibili al dipendente e che hanno determinato la presunta incompatibilità, facendo emergere fatti e circostanze, altrimenti ignote o non precisamente note all’Amministrazione, che ben possono essere determinanti non solo per l’effettiva adozione del provvedimento di trasferimento, ma possono incidere quanto meno sulla individuazione della nuova sede cui destinare il dipendente».