Superato l’anno di prova e formazione, è opportuno che i docenti assunti a tempo indeterminato presentino domanda per la ricostruzione della carriera, per poter fare valere i servizi svolti precedentemente all’assunzione, ai fini dell’inquadramento negli scaglioni retributivi.
In particolare sono valutabili i seguenti servizi:
- Insegnamento nelle scuole statali: durata minima di 180 giorni in un determinato anno scolastico, purché prestati in possesso di idoneo titolo di studio. Vale come anno intero anche il servizio dal 1° febbraio fino agli scrutini finali (o al termine delle attività didattica nella scuola dell’infanzia). Esistono alcune limitazioni tra i vari ordini e gradi di scuola. L’anno 2013 non è valido ai fini della ricostruzione di carriera.
- Servizio di leva/civile: è pienamente valutabile se era in corso alla data del 31 gennaio 1987 o successivamente. Se invece è stato prestato prima del 31 gennaio 1987 vale solo se è coperto da nomina (costanza di impiego).
- Servizi, nelle scuole dell’infanzia (sia di ruolo che non di ruolo) e primaria (solo se di ruolo) degli enti locali, ma solo se si è a tempo indeterminato nell’infanzia o primaria.
- Servizi prestati nelle scuole primarie parificate e nelle scuole secondarie pareggiate.
- Servizi nelle università come professore incaricato, assistente incaricato e assistente straordinario.
Ai sensi dell’art. 209 della Legge 107/2015, la ricostruzione di carriera deve essere richiesta presentando domanda una volta superato l’anno di formazione e comunque non prima del 1° settembre dell’anno scolastico immediatamente successivo.
C’è tempo fino al 31 dicembre di ogni anno. L’istanza deve essere presentata utilizzando la funzione messa a disposizione su Istanze Online.
Riconoscimento del servizio pre-ruolo
Con la sentenza 31149 del 28/11/2019, la Corte di Cassazione si è espressa in merito ad una controversia tra una docente e il Ministero dell’Istruzione, in merito alla corretta applicazione dei criteri di legge inerenti la ricostruzione della carriera lavorativa.
L’insegnante aveva domandato il riconoscimento di 10 anni di servizio pre-ruolo, prestato a far tempo dall’a.s. 1986/1987, ma la domanda era stata solo parzialmente accolta. Questo ultimo, con decreto, aveva riconosciuto solamente 9 anni di servizio a fini giuridici ed economici, inquadrando la docente nella terza, anziché nella quarta posizione stipendiale, disciplinata dal CCNL Scuola 1/08/1996.
Il giudice d’appello aveva escluso che fosse giustificato da ragioni obiettive l’applicazione, ai fini della ricostruzione della carriera lavorativa, del criterio previsto dall’art. 485 del D.Lgs. 297/1994 (che prevede che «Al personale docente delle scuole di istruzione secondaria e artistica, il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all’estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo») e conseguentemente, aveva disapplicato la norma, perché in contrasto con la clausola 4 dell’accordo-quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, la quale sancisce la parità di trattamento economico tra il personale di ruolo e precario.
Principio di non discriminazione (clausola 4).
1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive [...]
4. I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive.
Aveva precisato al riguardo che il disposto della clausola 4 poteva essere invocato anche dai lavoratori a tempo indeterminato che rivendicano il riconoscimento, ai fini dell’anzianità, del servizio prestato sulla base di contratti a termine, e aveva ritenuto non rilevante che le annualità si riferissero ad anni antecedenti l’entrata in vigore della direttiva, atteso che nella specie si discuteva di ricostruzione di carriera richiesta nell’anno 2008.
Infine la Corte territoriale aveva precisato che ai fini del calcolo dell’anzianità complessiva dovevano essere considerati anche i contratti a termine stipulati, ex art. 4, lett. c della Legge 124/1999, per sostituire personale di ruolo assente, evidenziando che, contrariamente a quanto sostenuto dal Ministero, l’attività era stata pressoché continuativa e aveva interessato gli interi anni scolastici, salve brevi e sporadiche interruzioni prevalentemente coincidenti con le festività scolastiche.
Contro questa decisione ha presentato ricorso in Cassazione il Ministero dell’Istruzione, rilevando che non potesse essere ravvisata alcun tipo di discriminazione, in quanto la disciplina dettata in tema di ricostruzione della carriera dall’art. 485 del D.Lgs. 297/1994, sarebbe giustificata da ragioni oggettive (le stesse richieste dalla clausola 4 della direttiva comunitaria citata), essendo evidente la diversità fra l’attività prestata dal docente a tempo indeterminato e quella richiesta all’insegnante incaricato della sostituzione per pochi giorni o pochi mesi.
Ha rilevato, inoltre, che la norma sopra citata andasse letta in combinato disposto con l’art. 11, comma 14 della Legge 124/1999, che equipara il servizio non di ruolo prestato per almeno 180 giorni oppure ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio a quello riguardante l’intero anno scolastico (cioè se un docente lavorasse, ad esempio, 200 giorni, si considererebbe la sua prestazione lavorativa come eseguita per un intero anno scolastico) e, pertanto, il trattamento complessivo riservato agli assunti a tempo determinato non può essere ritenuto di minor favore rispetto a quello del quale godono i docenti di ruolo. Norma che deve essere, a sua volta, collegata all’art. 489 del D.Lgs. 297/1994, che sancisce:
1. Ai fini del riconoscimento di cui ai precedenti articoli il servizio di insegnamento è da considerarsi come anno scolastico intero se ha avuto la durata prevista agli effetti della validità dell’anno dall’ordinamento scolastico vigente al momento della prestazione.
2. I periodi di congedo e di aspettativa retribuiti e quelli per gravidanza e puerperio sono considerati utili ai fini del computo del periodo richiesto per il riconoscimento.
La tesi difensiva del Ministero dell’Istruzione, a ben vedere, non è del tutto campata per aria: come riconosciuto dalla stessa Corte di Cassazione, dal complesso delle disposizioni sopra richiamate si evince che nel settore scolastico, in relazione al personale docente, la disciplina generale e astratta del riconoscimento del servizio pre-ruolo risulta dalla commistione di elementi che, nella comparazione con il trattamento riservato ai docenti sin dall’origine assunti con contratti a tempo indeterminato, possono essere ritenuti solo in parte di sfavore. Ciò perché se, da un lato, la norma è chiara nel prevedere un abbattimento dell’anzianità sul periodo eccedente i primi quattro anni di servizio (v. art. 485 cit.), dall’altro il legislatore ha ritenuto di dovere equiparare ad un intero anno di attività l’insegnamento svolto per almeno 180 giorni, o continuativamente dal 1° febbraio sino al termine delle operazioni di scrutinio (v. art. 489 cit.); e ha anche previsto il riconoscimento del servizio prestato presso scuole di un diverso grado, consentendo all’insegnante della scuola di istruzione secondaria di giovarsi dell’insegnamento nelle scuole elementari e ai docenti di queste ultime di far valere il servizio pre-ruolo prestato nelle scuole materne statali o comunali.
È poi utile sottolineare che l’abbattimento opera solo sulla quota eccedente i primi quattro anni di anzianità, oggetto di riconoscimento integrale con i benefici di cui sopra si è detto, e pertanto risulta evidente che il meccanismo finisce per penalizzare i precari di lunga data, non già quelli che ottengano l’immissione in ruolo entro il limite massimo per il quale opera il principio della totale valorizzazione del servizio (4 anni).
Il corretto procedimento
Per dirimere la questione circa l’effettiva sussistenza di una situazione discriminatoria derivante dall’applicazione, ai docenti che abbiano svolto anni di precariato, dei criteri “tradizionali” di calcolo del servizio non di ruolo, la Cassazione ha indicato il procedimento logico-argomentativo necessario per la corretta applicazione della clausola 4 della direttiva 1999/70/CE.
Il giudice, affermano gli Ermellini, deve:
- determinare il trattamento spettante al preteso “discriminato”;
- individuare il trattamento riservato al lavoratore comparabile;
- accertare se l’eventuale disparità sia giustificata da una ragione obiettiva.
Nel rispetto di queste fasi, perché il docente si possa dire discriminato dall’applicazione dell’art. 485 del D.Lgs. 297/1994, che, come evidenziato, è la risultante di elementi di sfavore e di favore, deve emergere che l’anzianità calcolata ai sensi della norma speciale sia inferiore a quella che nello stesso arco temporale avrebbe maturato l’insegnante comparabile, assunto con contratto a tempo indeterminato per svolgere la medesima funzione docente.
Ciò implica che il trattamento riservato all’assunto a tempo determinato non possa essere ritenuto discriminatorio per il solo fatto che dopo il quadriennio si operi un abbattimento, occorrendo invece verificare anche l’incidenza dello strumento di compensazione favorevole (come quello previsto dall’art. 489 del D.Lgs. 297/1994), che pertanto, in sede di giudizio di comparazione, va eliminato dal computo complessivo dell’anzianità, da effettuarsi sull’intero periodo – atteso che, altrimenti, si verificherebbe una discriminazione alla rovescia rispetto al docente a tempo indeterminato comparabile.
In altri termini un problema di trattamento discriminatorio può fondatamente porsi nelle sole ipotesi in cui l’anzianità effettiva di servizio – non quella virtuale ex art. 489, prestata con rapporti a tempo determinato – risulti superiore a quella riconoscibile ex art. 485, perché solo in tal caso l’attività svolta sulla base del rapporto a termine viene ad essere apprezzata in misura inferiore rispetto alla valutazione riservata all’assunto a tempo indeterminato.
Nel calcolo dell’anzianità occorre, quindi, tener conto del solo servizio effettivo prestato, maggiorato, eventualmente, degli ulteriori periodi nei quali l’assenza è giustificata da una ragione che non comporta decurtazione di anzianità anche per l’assunto a tempo indeterminato (congedo e aspettativa retribuiti, maternità e istituti assimilati); con la conseguenza che non possono essere considerati né gli intervalli fra la cessazione di un incarico di supplenza e il conferimento di quello successivo, né, per le supplenze diverse da quelle annuali, i mesi estivi, in relazione ai quali la Corte di Cassazione da tempo ha escluso la spettanza del diritto alla retribuzione (v. Cass.n. 21435/2011, Cass.n. 3062/2012 e Cass. n. 17892/2015), sul presupposto che il rapporto cessa al momento del completamento delle attività di scrutinio.
Si dovrà, invece, tener conto del servizio prestato in un ruolo diverso da quello rispetto al quale si domanda la ricostruzione della carriera, in presenza delle condizioni richieste dall’art. 485, perché il medesimo beneficio è riconosciuto anche al docente a tempo indeterminato che transiti dall’uno all’altro ruolo, con la conseguenza che il meccanismo non determina alcuna discriminazione alla rovescia.
Qualora, all’esito del calcolo effettuato nei termini sopra indicati, il risultato complessivo dovesse risultare superiore a quello ottenuto con l’applicazione dei criteri di cui all’art. 485, la norma di diritto interno deve essere disapplicata e al docente va riconosciuto il medesimo trattamento che, nelle stesse condizioni qualitative e quantitative, sarebbe stato attribuito all’insegnante assunto a tempo indeterminato, perché l’abbattimento, in quanto non giustificato da ragione oggettiva, non appare conforme al diritto dell’Unione.
Non è possibile la commistione di regimi
Deve essere chiaro però che al docente assunto a tempo determinato, successivamente immesso nei ruoli, non è consentito pretendere – sulla base della clausola 4 della direttiva comunitaria – una commistione di regimi, ossia da un lato, il criterio più favorevole dettato dal testo unico della scuola (come quello contenuto nell’art. 489) e, dall’altro, l’eliminazione del solo abbattimento (prevista dall’art. 485), perché la disapplicazione non può essere parziale, né può comportare l’applicazione di una disciplina diversa da quella della quale può giovarsi l’assunto a tempo indeterminato comparabile, altrimenti si produrrebbe una discriminazione a svantaggio di questo ultimo.
Tutto ciò premesso, i giudici di legittimità hanno concluso riassumendo i seguenti principi di diritto:
- a) l’art. 485, che anche in forza del rinvio operato dalle parti collettive disciplina il riconoscimento dell’anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell’amministrazione scolastica, viola la clausola 4, e deve essere disapplicato, nei casi in cui l’anzianità risultante dall’applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello fissato dall’art. 489, come integrato dall’art. 11, comma 14 della Legge 124/1999, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato;
- b) il giudice del merito per accertare la sussistenza della denunciata discriminazione dovrà comparare il trattamento riservato all’assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, con quello del docente ab origine a tempo indeterminato e ciò implica che non potranno essere valorizzate le interruzioni fra un rapporto e l’altro, né potrà essere applicata la regola dell’equivalenza fissata dal richiamato art. 489;
- c) l’anzianità da riconoscere ad ogni effetto al docente assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, in caso di disapplicazione dell’art. 485, deve essere computata sulla base dei medesimi criteri che valgono per l’assunto a tempo indeterminato.
Alcuni esempi
Proviamo a fare degli esempi pratici, per comprendere i punti sopra esposti.
Prendiamo il caso di un docente con 7 anni di pre-ruolo con supplenze tutte al 31 agosto. Tale docente, nel decreto di ricostruzione di carriera, avrebbe ottenuto il riconoscimento di 6 anni (cioè 4 anni per intero più i due terzi di 3 anni, vale a dire 2; 4 più 2 fa 6). Con il ricalcolo derivante dalla sentenza della Corte di Cassazione, ossia secondo il criterio del servizio effettivamente svolto, avrebbe diritto a 7 anni.
Per fare un ulteriore esempio, colui che ha dieci anni di pre-ruolo (con supplenze al 31 agosto sempre), si vedrà, a mente dell’art. 485, riconosciuti per intero i primi 4 anni e quindi ne restano da valutare 6; di questi 6 ne perde un terzo, cioè 2, quindi otterrà il riconoscimento di 8 anni complessivi, anziché 10. Con il ricalcolo derivante dalla sentenza della Corte di Cassazione, avrà invece diritto al riconoscimento di tutti e dieci gli anni lavorati come precario.
Per amore della verità, la predetta quota di un terzo non considerata applicando i criteri di calcolo di cui all’art. 485, non è in realtà per sempre persa, poiché si recupera dopo molti anni di servizio. Specificamente ciò avviene, secondo la legge, al compimento:
- del 16° anno di servizio per i docenti laureati della scuola secondaria superiore;
- del 18° anno per i DSGA, per i docenti della scuola di infanzia, primaria, personale educativo, personale insegnante della scuola secondaria di I grado, per i docenti diplomati della scuola secondaria di II grado;
- del 20° anno per il personale ausiliario e collaboratore;
- del 24° anno per i docenti dei conservatori di musica e delle accademie.
Questo è il così detto aggiornamento o riallineamento.
Quando si procede all’aggiornamento, quindi, il servizio pre-ruolo viene valutato, ai fini economici, integralmente (art. 4, comma 3 del D.P.R. 399 del 23/08/1988).
Effettuato l’aggiornamento, il personale interessato deve essere collocato nella fascia stipendiale spettante computando anche il periodo non riconosciuto immediatamente ai fini giuridici all’atto della ricostruzione di carriera. Ossia, valutare anche quel terzo escluso nella ricostruzione di carriera, ricongiungendolo al periodo pre-ruolo valutato ai sensi dell’art. 485, consente di conseguire prima il successivo scatto di anzianità. Tutto ciò inoltre sarà utile ai fini del trattamento di quiescenza.
Ciò precisato però, tale meccanismo di riallineamento non può giustificare, in ogni caso, la tesi difensiva del Ministero dell’Istruzione che pretende di applicare – anche in virtù di tale riallineamento – i criteri di calcolo di cui al famigerato art. 485, in quanto esso innanzi tutto è valido solo ai fini economici e non giuridici, e inoltre opera solo dal 16° (o dal 24°) anno di servizio, riguardando perciò situazioni future e incerte, tanto che il docente che necessita della ricostruzione potrebbe nel frattempo aver cambiato lavoro oppure essere già in congedo, e quindi non potrebbe in alcun modo usufruire della ricostruzione ex art. 4, comma 3 del D.P.R. 399/1988 – subendo, di conseguenza, una discriminazione rispetto ai docenti assunti a tempo indeterminato.
In questo senso, pare orientarsi la giurisprudenza di merito (che sta applicando i suddetti nuovi principi dettati dalla Corte di Cassazione), la quale ha affermato che il rilevo dell’applicabilità in futuro del computo ex art. 4, comma 3 del D.P.R. 399/1988 è del tutto inconsistente, posto che «[...] Il fatto che il riconoscimento integrale, sia a fini giuridici sia economici, della anzianità di servizio pre-ruolo avvenga in modo graduale nel tempo (al raggiungimento del 16° o 18° anno di anzianità) non esclude che prima di tale momento sussistano le illegittimità descritte [...]» (cfr. Trib. Frosinone, Sez. lav., 18/12/2019, n. 1093).
Esaminiamo ora il caso di un docente con 13 anni di pre-ruolo, con 10 anni di supplenze al 30 giugno e 3 anni non valutati perché inferiori a 180 giorni, per esempio, di 170 giorni. Ecco, nel decreto di ricostruzione di carriera, applicando le modalità di calcolo stabilite dall’art. 485, questo docente otterrebbe il riconoscimento di 8 anni (i primi 4 anni per intero, più i due terzi di 6 anni, cioè 4; i restanti 3 anni non si possono contare perché non superiori a 179 giorni). Con il ricalcolo derivante dalla sentenza della Corte di Cassazione, ossia secondo il criterio del servizio effettivamente svolto, avrebbe diritto a 9 anni e 7 mesi (il calcolo è il seguente: 10 anni corrispondono a 120 mesi, dai quali occorre togliere, per ognuno dei 10 anni, i 2 mesi estivi, luglio e agosto, quindi 20 mesi e avremmo così 100 mesi; avendo inoltre prestato servizio 170 giorni per 3 anni, il docente ha lavorato 510 giorni, cioè 17 mesi, il quali, sommati ai 100, dà come risultato 117 mesi, cioè 9 anni e 7 mesi).
Quindi il docente avrebbe tutto l’interesse a contestare la ricostruzione di carriera svolto secondo le regole “tradizionali” e pretendere l’applicazione dell’enunciato della sentenza della Cassazione che si sta commentando.
Termini di prescrizione
Concludo con una buona notizia per coloro che non abbiano mai presentato domanda di ricostruzione di carriera: la Corte di Cassazione, con l’ordinanza 2232/2020, ha stabilito che non ci sono vincoli temporali per farlo, quindi non sussiste il termine dei 10 anni di prescrizione previsto dall’art. 2946 del codice civile, con decorrenza dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, quindi dalla data della conferma in ruolo del lavoratore assunto.