Sulla Gazzetta Ufficiale n. 7 del 10 gennaio scorso sono state pubblicate le “Linee Guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del D.Lgs. 33/2013”, approvate con deliberazione dell’Autorità Anticorruzione n. 1309 del 28/12/2016.
Il documento, denominato anche nelle stesse Linee Guida “FOIA”, mutuando il termine dallo statunitense Freedom of Information Act (termine più volte utilizzato, in realtà, per trascorsi interventi normativi e sollecitato e ribadito anche in sede di Unione Europea), è disposto in attuazione dell’art. 5-bis comma 6 del D.Lgs. 33/2013 (modificato sul punto dal D.Lgs. 97/2016), ovvero per specificare esclusioni e limiti dell’accesso civico.
Tuttavia, in realtà, il documento interviene per chiarire anche dubbi interpretativi sull’accesso ai documenti in generale, come vedremo, e si accompagna alle Linee Guida “Trasparenza”, più specificamente dedicate ai generali obblighi di pubblicazione.
Prima di analizzare le Linee Guida in questione, è utile premettere brevi valutazioni sul valore di questi documenti, in generale, nel sistema delle fonti del diritto.
Le Linee Guida ANAC nel sistema delle fonti del diritto
Le Linee Guida ANAC costituiscono una fattispecie che sta interessando i giuristi, e non solo, per l’esatta configurazione nel sistema delle fonti del diritto, problema accresciuto peraltro dal susseguirsi, costante e numeroso, degli interventi di questo tipo da parte dell’Autorità Anticorruzione.
Come sappiamo, il problema delle fonti applicabili nel caso concreto è risolto in sede prevalentemente dottrinale, considerato che la Costituzione regola solo le leggi costituzionali e le leggi di rango primario (leggi del Parlamento, decreti legislativi e decreti legge), e che le ormai vetuste “preleggi”, preliminari al codice civile, prevedono una gerarchia rispettivamente tra leggi, regolamenti e usi (o consuetudini).
Il principale tema di interesse tra gli operatori del diritto, quindi, è la posizione assunta dalle Linee Guida, non essendo l’ANAC né prevista dalla Costituzione né investita dai cittadini a normare (o interpretare le leggi) per destinatari indeterminati, mentre i regolamenti di matrice governativa, ad esempio, tradizionalmente considerati fonte secondaria del diritto, sono disciplinati dalla Legge 400/1988, art. 17 (con procedura specifica e attenta a contrappesi, ruoli e competenze), in maniera anche analitica, ma che è stata oggetto, negli anni, di numerose estensioni applicative.
Come illustrato dal Consiglio di Stato (n. 855 del 1/04/2016), in sede di parere reso sul vigente Codice degli appalti di cui al D.Lgs. 50/2016, possiamo distinguere, genericamente, tra linee guida ANAC “vincolanti” e “non vincolanti”; le prime sarebbero «atti di regolazione di un’Autorità indipendente, che devono seguire alcune garanzie procedimentali minime: consultazione pubblica, metodi di analisi e di verifica di impatto della regolazione, metodologie di qualità della regolazione, compresa la codificazione, adeguata pubblicità e pubblicazione, se del caso parere (facoltativo) del Consiglio di Stato» mentre «Le linee guida non vincolanti dell’ANAC avranno un valore di indirizzo a fini di orientamento dei comportamenti di stazioni appaltanti e operatori economici».
Quanto precisato è valevole per la materia dei contratti pubblici, per la quale la legge delega, poi confluita nel nuovo Codice, aveva previsto questi interventi para-normativi denominati di “soft law”.
Per quanto riguarda, invece, la Trasparenza, non sussistono interpretazioni istituzionali assimilabili, e possiamo solo agire in via deduttiva su dati di fatto. Le Linee guida FOIA, ad esempio (sul solco di quelle emanate in molti ambiti in questo periodo dall’ANAC), sono state sottoposte a consultazione e pubblicità, e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, fatto che farebbe deporre per il valore più vincolante delle stesse, rispetto alle Linee Guida (più di “indirizzo”) non sorrette dalla medesima procedura. Le Linee Guida FOIA, inoltre, intervengono su specifica delega del legislatore; come accennato, tuttavia, il documento esorbita dalla strette competenze, intervenendo a chiarimento anche su aspetti della normativa (es. differenza fra i vari tipi di accesso) non previsti dal comma 6 dell’art. 5-bis sopra richiamato.
Del resto, l’atteggiarsi della definizione delle regole degli ultimi anni ci ha abituati ad interpretare un ordinamento giuridico sempre più “liquido” e indeterminato nel sistema di individuazione e inquadramento sistematico delle fonti del diritto.
Così premesso il carattere delle Linee Guida di cui trattiamo, il contenuto rivela degli aspetti sicuramente interessanti.
Diritto di accesso e accesso civico
Il tema dei rapporti tra le varie forme di accesso era già stato affrontato su queste pagine, rammentando che l’accesso civico (introdotto dal Decreto Trasparenza del 2013) era stato coerentemente ricompreso nel decreto regolante l’ampia materia della trasparenza e della pubblicazione obbligatoria dei dati, in quanto reale novità dell’ordinamento giuridico, consistente nella pretesa del cittadino di richiedere documenti di cui fosse obbligatoria la pubblicazione, qualora la stessa non fosse stata osservata dalle amministrazioni.
Tale diritto si differenziava sostanzialmente dal diritto di accesso, fino a quel momento delineato dalla Legge 241/1990, per l’oggetto (l’accesso civico poteva presentarsi solo verso i documenti da pubblicare obbligatoriamente, l’accesso ordinario riguardava qualsiasi atto contenuto in un documento), le modalità (la domanda di accesso civico veniva svincolata da motivazioni peculiari e da particolari interessi legittimanti, mentre l’accesso ordinario era legato ad una motivazione specifica e ad un sottostante interesse qualificato e “rilevante”) e il procedimento (l’accesso civico poteva presentarsi solo al Responsabile Trasparenza, mentre la domanda di accesso, prevedeva l’inoltro agli URP o, comunque, a chi detenesse l’atto stabilmente o l’avesse formato).
La disciplina dell’accesso civico è stata, come noto, profondamente modificata con l’intervento del decreto di riforma del Decreto 97/2016, che sembrava aver ricompreso in un unicum indifferenziato il diritto di accesso civico e il diritto di accesso “ordinario”.
Il decreto infatti, con le modifiche del secondo comma dell’art. 5 prevede, per tutti, la possibilità di accedere ad atti e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni ulteriormente rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, semplicemente «allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico», senza obbligo di motivazione o di situazione soggettiva rilevante, senza cioè dover manifestare l’interesse giuridicamente tutelato, la situazione giuridicamente rilevante, la motivazione.
La normativa di riforma, poi, con l’art. 5-bis, individua, declinandoli specificamente, gli interessi pubblici e privati che consentono di negare l’accesso; tale elenco, è importante notare, prevede limiti più ampi rispetto a quelli della Legge 241/1990.
Ebbene era stato rilevato subito, non solo in questa sede, come, a seguito dell’intervento normativo analizzato, la situazione si ingarbugliasse notevolmente, consigliando attenzione, grande spazio alla pubblicazione dei dati (ove consentito) sul sito web istituzionale, considerando la permanenza degli ambiti del diritto di accesso ex L. 241 (pur se in forma quasi “residuale”), e consigliando di valutare l’intervento in sede regolamentare propria.
Le Linee Guida ANAC sui vari diritti di accesso
Come era auspicabile, le Linee Guida FOIA intervengono in prima battuta proprio su questo argomento, anche esorbitando da quanto previsto dal legislatore che limitava le Linee Guida alla disciplina dei casi di esclusione.
Con il documento in esame infatti, l’ANAC preliminarmente esalta il ruolo dell’art. 5 comma 2, come innovato dalla legge di riforma, ponendo l’accento sul ruolo strategico della trasparenza come principio fondamentale di partecipazione democratica e giustificazione di forme diffuse di controllo.
Il risultato della riforma comporta una innovazione profonda del diritto di accesso, ad oggi articolato in queste forme:
- Diritto di accesso documentale: previsto dalla Legge 241/1990, viene fatto salvo dalla riforma, e continua a sussistere come forma di accesso più pregnante, collegato all’onere di motivazione e a un interesse giuridicamente rilevante, e possibile anche in casi in cui è negato l’accesso generalizzato;
- Accesso civico: introdotto dal Decreto Trasparenza con l’art. 5, rimane circoscritto ai soli atti per i quali la legge prescrive la pubblicazione obbligatoria, e può essere richiesto da chiunque a prescindere dalla motivazione;
- Accesso generalizzato: introdotto dal Decreto 97/2016 (art. 5 comma 2), è il diritto corrispondente al FOIA.
Le Linee Guida, premettiamo, sono redatte analiticamente e talora esigono una lettura particolarmente attenta; per la materia, piuttosto complessa e riguardante fattispecie in alcuni casi sovrapponibili, è consigliabile che le singole amministrazioni predispongano regolamentazioni interne specifiche, che dettino regole sulle singole tipologie di accesso, gli uffici competenti e la disciplina per le singole procedure di valutazione delle domande.
Il documento elenca i soggetti destinatari delle nuove forme di accesso, ricompresi in un concetto piuttosto ampio di pubblica amministrazione, riguardante non solo gli ambiti tradizionalmente indicati dall’art. 1 comma 2 del D.Lgs. 165/2001, ma anche quelle strutture che già la costante giurisprudenza amministrativa individua quale categoria “cangiante” di amministrazione pubblica, quali, ad esempio, gli ordini professionali, gli enti pubblici economici, le società partecipate e gli enti di diritto privati assimilati (come le “fondazioni di partecipazione”).
Oggetto del diritto, specifica l’ANAC, possono essere dati, documenti e informazioni (intendendosi per tali i dati rielaborati per propri fini dall’amministrazione); l’ambito piuttosto ampio di riferimento, tuttavia, non può dar luogo a richieste generiche, esplorative o comunque tali da aggravare il buon andamento dell’azione amministrativa; in casi simili, è d’obbligo una valutazione attenta.
Eccezioni e limiti all’accesso generalizzato
Le Linee Guida trattano analiticamente i limiti e le eccezioni al diritto di accesso generalizzato, in ottemperanza del disposto del comma 6 dell’art. 5-bis introdotto dalla legge di riforma.
Seguendo la bipartizione operata dal legislatore, il documento distingue tra eccezioni assolute (che prevedono, genericamente, i casi in cui le pubbliche amministrazione devono rifiutare la richiesta di accesso), e eccezioni relative o qualificate (che prevedono una valutazione da operarsi caso per caso per analizzare il rischio di pregiudizio per l’amministrazione, e possono comportare anche il differimento della richiesta o l’evasione in senso parziale della stessa).
Prima di analizzare le singole eccezioni, è importante seguire il precetto dell’ANAC in proposito della motivazione; è fondamentale che le amministrazioni, che debbono giustificare anche l’accoglimento delle richieste (a tutela di ulteriori interessi come quello dei terzi controinteressati), pongano particolare attenzione all’onere di motivare soprattutto gli atti di diniego, in particolar modo in caso di eccezioni relative, le quali comportano una maggiore esigenza di ponderazione degli interessi in gioco.
Eccezioni assolute
Sono quelle previste dal comma 3 dell’art. 5-bis, a norma del quale «Il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della Legge n. 241 del 1990». Come evidente, i casi in cui la domanda di accesso deve essere respinta sono tassativi e indicati dalla legge.
Le Linee Guida si soffermano sui casi previsti dal comma 3, specificando:
- per il Segreto di Stato: la fattispecie è normata dall’art. 39 Legge 124/2007, come ipotesi di danno all’integrità della Repubblica posta a salvaguardia di «supremi e imprescindibili interessi dello Stato». Il segreto non è categoria immanente; può disporlo esclusivamente il Presidente del Consiglio, e dopo 15 anni può essere disapplicato; diversa ipotesi, disciplinata dalla medesima legge, è il segreto apposto dalle singole amministrazioni per circoscrivere la conoscenza di determinate informazioni per singoli soggetti;
- per gli altri casi previsti dalla legge: numerose sono le disposizioni che prevedono casi di segreto la cui elencazione sarebbe non esaustiva, come il segreto statistico o quello posto a tutela dei dati attinenti alla salute o la vita sessuale. Il documento rammenta comunque che, ove l’istanza sia corredata dai presupposti di legge, la domanda può essere trasformata in diritto di accesso “classico” per ottenere maggiori possibilità di ostensione dei documenti;
- per i «casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della Legge n. 241 del 1990»: si rammenta che i limiti previsti per il diritto di accesso sono quelli per cui l’esercizio del diritto può subordinarsi a condizioni particolari e passibili di ricorso non solo al diniego, ma anche al potere di differimento (si consideri, ad esempio, il caso delle informazioni anagrafiche, conoscibili secondo i limiti previsti dalla normativa di settore). Si rammenta quanto disposto dall’art. 24 comma 1 richiamato:
1. Il diritto di accesso è escluso:
a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo;
b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano;
c) nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione;
d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.Un caso particolare è quello previsto dalla lett. a dell’art. 24 Legge 241/1990, a norma del quale regolamenti governativi e settoriali delle pubbliche amministrazioni possono imporre divieti di divulgazione che, per il loro contenuto, possono creare problemi di sovrapposizione con le eccezioni previste dal FOIA. Ebbene, anche in considerazione del fatto che numerose amministrazioni non hanno ancora predisposto detti regolamenti, le Linee Guida suggeriscono che i regolamenti governativi si pongano il problema, qualora dovessero intervenire, del coordinamento tra le varie normative, alla luce dell’evoluzione in senso spiccatamente favorevole alla trasparenza che il legislatore ha manifestato nel corso di questi anni.
Altri esempi sono riportati dall’ANAC quali limiti previsti settorialmente dal legislatore, con citazione priva del carattere di esaustività.
Eccezioni relative
Le eccezioni relative o qualificate all’accesso generalizzato sono riportate in elenco dal comma 1 dell’art. 5-bis, che prevede limiti definiti, rispettivamente:
- a tutela di interessi pubblici, come previsto dal comma 1 che si riporta di seguito:
1. L’accesso civico di cui all’articolo 5, comma 2, è rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a:
a) la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico;
b) la sicurezza nazionale;
c) la difesa e le questioni militari;
d) le relazioni internazionali;
e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato;
f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento;
g) il regolare svolgimento di attività ispettive. - a tutela di interessi privati, enunciati, invece, dal seguente comma 2:
2. L’accesso di cui all’articolo 5, comma 2, è altresì rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati:
a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia;
b) la libertà e la segretezza della corrispondenza;
c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali.
I singoli limiti sono descritti e approfonditi, brevemente, dalle Linee Guida, che sottolineano come l’interpretazione degli stessi debba non solo essere attenta e scrupolosa, ma anche elastica e condotta con una lettura sistematica e adeguata ai tempi; ad esempio, la libertà di corrispondenza (collegata alla specifica tutela costituzionale prevista dall’art. 15), non può ai giorni nostri, come ovvio, ritenersi afferente alla sola comunicazione epistolare, che anzi, oggi, si deve ritenere recessiva rispetto alle molteplici nuove forme di comunicazione offerte dalle tecnologie.
Indicazioni pratiche suggerite dall’ANAC
Le Linee Guida, quale conclusione delle indicazioni, ricordando l’entrata in vigore delle disposizioni fissata al 23 dicembre 2016, suggeriscono alle amministrazioni (senza disporre l’obbligo di tali soluzioni ma ravvisando l’opportunità) di adottare “nel più breve tempo possibile” (formulazione linguistica che, a parere di chi scrive, esprime obbligatorietà invece che suggerimento) soluzioni organizzative per chiarire e disciplinare i vari tipi di accesso, adottando una disciplina interna; si “suggerisce”, anche, l’istituzione diun registro delle richieste, cd. Registro degli accessi, fattispecie da pubblicare sul sito web istituzionale che viene fortemente raccomandata, anche al fine di agevolare il monitoraggio che ANAC effettuerà sul concreto esercizio del diritto.