Con ordinanza n. 23934 del 29/10/2020 la Cassazione, Sezione lavoro, si è pronunciata su una questione molto interessante, attinente alla retribuzione dei giorni estivi non destinati alle ferie, stabilendo che durante tale periodo il docente non ha il dovere di presentarsi di persona a scuola, ma solo di restare a disposizione della stessa, con obbligo di svolgere le eventuali prestazioni deliberate dagli organi scolastici e le attività programmate, e concludendo che tali giorni debbano essere retribuiti.
I fatti
Il contenzioso tra una docente e un Istituto scolastico di Bolzano, oggetto della ordinanza, era nato dal fatto che, nonostante l’invito del Dirigente scolastico a predisporre un piano di lavoro per i giorni estivi rimasti scoperti da ferie – piano che presumibilmente avrebbe dovuto prevedere la presenza dell’insegnante a scuola pur in assenza di attività didattica – la docente aveva prestato concretamente attività per soli due giorni, pretendendo tuttavia di essere pagata anche per i giorni in cui non era presente fisicamente all’interno del complesso scolastico.
Tra l’atro l’insegnante aveva maturato un periodo complessivo di ferie minore rispetto agli altri colleghi, poiché durante l’anno scolastico si era avvalsa di un periodo di congedo parentale (congedo che, come sappiamo, non dà diritto alla maturazione delle ferie).
Già la Corte d’Appello di Trento aveva confermato l’accoglimento della domanda della professoressa, pronunciato in primo grado dal Tribunale di Bolzano.
I giudici di secondo grado, nell’accogliere nuovamente le argomentazioni della docente, avevano richiamato la disciplina contrattuale della Provincia autonoma di Bolzano, nonché quella nazionale, per concludere – in coerenza anche con la previgente normativa statale – che, come in generale avveniva nei periodi estivi non destinati alle ferie, il docente dovesse restare a disposizione della scuola, con obbligo di svolgere le prestazioni deliberate dagli organi scolastici, ma senza necessità di presenza a scuola indipendentemente dall’impegno in attività programmate.
Ritenevano, inoltre, che non vi fosse ragione per non estendere tale disciplina generale anche ai docenti i quali, per avere goduto dei congedi parentali, avevano maturato un numero di giorni di ferie inferiori a quelli degli altri insegnanti, spettando semmai al datore di lavoro, secondo le regole e competenze proprie del Collegio dei docenti o del Dirigente, stabilire se e quali attività dovessero essere svolte con presenza presso la scuola pur dopo il termine delle ordinarie attività didattiche.
Nel caso di specie – osservava ancora la Corte distrettuale – nulla era stato previsto e la docente aveva osservato la richiesta del Dirigente di predisporre un piano di attività individuale, che essa aveva presentato lavorando per due giorni in ragione di quanto così definito, senza ricevere altre specifiche disposizioni per i giorni rimanenti.
In altre parole, se il Dirigente scolastico e il Collegio docenti non hanno previsto alcuna particolare attività da svolgersi in presenza a scuola e se, in aggiunta, l’attività progettata dalla stessa insegnante per il periodo delle giornate estive che precedono le ferie e seguono la fine delle attività didattiche (in buona sostanza da circa metà giugno a circa metà luglio) aveva previsto la sua permanenza a scuola per sole due mattinate, allora nulla può essere contestato alla docente che non si sia recata a scuola, ma sia stata solamente a disposizione della stessa.
Tale pronunciamento è stato impugnato dalla Provincia autonoma di Bolzano adducendo, per i profili che in questa sede interessano, che:
- l’interpretazione della normativa collettiva sviluppata dalla Corte d’Appello finirebbe per alterare la natura del contratto di lavoro, che dovrebbe manifestarsi in un’attività concretamente visibile e non potrebbe consistere in una mera messa a disposizione della prestazione lavorativa da parte del docente non più impegnato nelle attività didattiche;
- si creerebbe un ingiustificato privilegio a favore di chi, pur non avendo maturato un completo periodo di ferie, potrebbe restare a casa dal lavoro e ricevere ugualmente lo stipendio durante il periodo destinato dalla scuola al godimento delle ferie del personale.
La decisione della Cassazione
La Cassazione è riuscita facilmente a smontare la fondatezza delle suesposte tesi, evidenziando, rispetto al primo argomento di impugnazione, che nei periodi estivi successivi al termine delle attività didattiche dell’anno scolastico, i docenti restano in servizio e devono svolgere le attività eventualmente programmate o stabilite dagli organi della scuola e, nei periodi di tempo non coperti da tali incombenze, vanno considerati in servizio e a disposizione del datore di lavoro, pur senza necessità di offrire esplicitamente la propria prestazione o presentarsi a scuola, sicché la remunerazione è comunque dovuta.
Lo stesso quadro delle regole sulle prestazioni di lavoro dei docenti di cui al CCNL 2006-2009 Scuola (art. 28, comma 4, e art. 29), oltre alla previgente disciplina normativa (art. 88 del D.P.R. 417/1974), prevede in concreto prestazioni didattiche in senso stretto (da svolgersi in presenza) e prestazioni funzionali all’insegnamento (che non richiedono sempre la presenza fisica dell’insegnante a scuola), sulla base, per quanto attiene al CCNL, di una pianificazione annuale ad opera dei competenti organi scolastici.
In merito alla seconda doglianza della Provincia autonoma, l’ordinanza della Cassazione fa rilevare come non sia in contestazione la ridotta maturazione di ferie conseguente alla fruizione di congedi parentali, quanto piuttosto il regime giuridico ed economico delle giornate di lavoro (poco importa se derivanti da un minor periodo di ferie cui si ha diritto a causa della fruizione dei congedi durante l’anno scolastico) successive alla fine delle ordinarie attività di didattiche.
Correttamente la Corte di merito trentina si è riferita alla disciplina delle attività funzionali all’insegnamento ulteriori rispetto alla ordinaria attività didattica in senso stretto, propria dell’anno scolastico, concludendo che tali regole necessariamente si applichino a quei docenti che, per ragioni diverse (qui, fruizione di un congedo parentale nel corso dell’anno scolastico), abbiano maturato un numero di giorni di ferie inferiori a quelli degli altri insegnanti, sicché i medesimi hanno diritto a ricevere la retribuzione anche per quei giorni in cui, non fruendo delle ferie perché non maturate, essi non siano destinatari di incarichi specifici da svolgere a scuola e quindi non si presentino presso di essa, ma siano da considerare, secondo il quadro complessivo della disciplina sopra detta, a disposizione.
Facendo un esempio banale, se un docente avesse diritto ad andare in ferie il 20 luglio, avendole maturate appieno, e un suo collega avesse diritto ad iniziare a godere del periodo di ferie dal 28 luglio, avendole maturate in parte a causa della fruizione di giorni di congedo parentale, ciò non comporterebbe una diversa retribuzione in capo ai due professori, solo per il fatto che uno dei due era andato in ferie prima, poiché il collega, comunque, anche dal 20 al 27 luglio, pur non essendosi presentato fisicamente in istituto, doveva ritenersi a disposizione della scuola e, per il solo fatto di esserlo, avrebbe dovuto essere retribuito pienamente, avendo lavorato in una modalità diversa dall’effettuazione di una lezione frontale, dall’accompagnamento della classe in visita di istruzione ecc.
Infatti, la Cassazione ha evidenziato che, oltre a non escludersi che sia doveroso svolgere presso la scuola eventuali attività in tal senso legittimamente programmate o stabilite per il periodo successivo alla fine dell’anno scolastico, secondo il regime loro proprio anche sotto il profilo economico, la disciplina non starebbe a significare che il docente non resti a disposizione della scuola pur in quei periodi, ma soltanto che tale disponibilità va considerata in re ipsa, senza necessità che gli insegnanti si presentino a scuola od offrano altrimenti in forme espresse la propria prestazione.
Si tratta di un regime che è del tutto coerente con la peculiarità del sistema scolastico, ove lo svolgimento della didattica frontale generalizzata non è prevista in alcuni mesi estivi, nei quali le attività in presenza degli insegnanti subiscono una contrazione, senza peraltro doversi trascurare che il docente ha significativi margini di autonomia, anche spazio-temporale, rispetto ad altre attività doverose, come quelle funzionali all’insegnamento, quali la documentazione, l’aggiornamento e la formazione personali, che non richiedono la presenza a scuola.
Pertanto, non viene snaturato il contratto di lavoro e i diritti/doveri reciproci tra lavoratore e datore di lavoro, dovendosi esso adattare alla particolare situazione di fatto e diritto che si determina dopo la fine delle incombenze didattiche ordinarie e di quanto (collegi, scrutini, altre attività regolarmente deliberate o disposte) normalmente previsto.
Non sorprende infine scoprire, in base a ciò che abbiamo sin qui commentato, che gli Ermellini abbiano ritenuto infondato anche l’assunto della Provincia ricorrente, secondo cui, sposando le argomentazioni della Corte d’Appello, si verrebbero a favorire i docenti che non abbiano maturato l’intero periodo di ferie, perché anch’essi, come i colleghi in ferie, potrebbero non presentarsi a scuola e ricevere comunque la retribuzione.
Premettendo che quello che si applica è un regime comune a tutti gli insegnanti per i periodi non coperti dalle ferie e in cui la scuola non prevede attività didattiche, sarebbe ingiustificato che il caso di specie, ovverosia quello di maturazione di un numero di giorni di ferie inferiori, trovasse una diversa regolamentazione quanto a regime delle attività da svolgere o della disponibilità nei periodi estivi in cui non è programmata alcuna attività in presenza.
D’altra parte, è evidente che il lavoratore legittimato a non presentarsi a scuola perché non siano previste attività, si trova in un regime di disponibilità ben diverso rispetto a chi si trova in ferie.
Basti pensare, esemplifica la Cassazione, al principio di cui all’art. 2109 c.c., come da intendere a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 30/12/1987, n. 616, secondo cui il sopravvenire della malattia sospende di regola il periodo feriale, se incompatibile con il riposo proprio di esso e consente quindi di conservare le giornate di ferie non godute; ipotesi che è del tutto estranea invece al regime di disponibilità dei periodi estivi non coperti dalle ferie, senza contare le possibili differenze nel regime di eccezionale rientro forzato dalla ferie (v. ad es. l’art. 13 del CCNL Scuola, secondo cui nel caso sia imposto il rientro delle ferie il lavoratore ha diritto al rimborso spese), rispetto ad uno stato di mera disponibilità in cui la convocazione a scuola non può né dirsi così eccezionale, né certamente soggetta a condizioni di rimborso spese.
Docenti di potenziamento
Ragionamento del tutto diverso deve essere, invece, compiuto nei confronti dei docenti c.d. di potenziamento, rientranti nell’organico dell’autonomia della scuola, come previsto dalla Legge sulla Buona Scuola (Legge 107/2015), che abbiano delle ore di disposizione, affiancate ad ore di insegnamento e, in generale, ai docenti che abbiano a loro carico tali ore.
In questo caso, a differenza della situazione decisa dall’ordinanza della Cassazione che abbiamo sopra commentato, il docente non può semplicemente rimanere a disposizione della scuola, bensì deve anche essere lì presente, pur non avendo quello specifico giorno, attività di insegnamento in classe.
Ciò poiché le ore a disposizione rientrano a tutti gli effetti nell’orario di cattedra del singolo docente e, come tali, non possono essere gestite in modo discrezionale dal docente, come si verificherebbe se egli uscisse da scuola per sbrigare impegni personali non autorizzabili (es. recarsi a fare la spesa o attività sportive).
Non solo, ma ogni assenza verificatesi in tali ore, se non rigorosamente giustificata, può dare adito, su provvedimento del Dirigente scolastico, a sanzioni disciplinari e trattenute dello stipendio per le ore non lavorate.
Tutto ciò lo si evince dal testo dell’art. 28 del CCNL Scuola 2006-2009, che al comma 6 precisa: «Negli istituti e scuole di istruzione secondaria, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d’arte, i docenti, il cui orario di cattedra sia inferiore alle 18 ore settimanali, sono tenuti al completamento dell’orario di insegnamento da realizzarsi mediante la copertura di ore di insegnamento disponibili in classi collaterali non utilizzate per la costituzione di cattedre orario, in interventi didattici ed educativi integrativi, con particolare riguardo per la scuola dell’obbligo, nonché mediante l’utilizzazione in eventuali supplenze e, in mancanza, rimanendo a disposizione anche per attività parascolastiche ed interscolastiche».
In conclusione, la presenza del docente nelle ore di disposizione deve essere effettiva, non potenziale, e se non impegnato in attività scolastiche (es. di supplenza di colleghi assenti) dovrà rimanere all’interno del complesso scolastico, ad esempio in aula docenti, per svolgere attività di correzione delle verifiche, di autoaggiornamento ecc.