Nel febbraio 2012 avevamo trattato su queste pagine dei docenti inidonei, la categoria di personale scolastico dichiarato, da apposita commissione medica e su istanza di parte del dipendente o d’ufficio, “inidoneo alla funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti”. La normativa del luglio 2011 aveva lasciato due alternative al personale in questione: quella di transitare, a domanda, nel personale ATA, oppure di essere assoggettato a mobilità (ovvero alla possibilità di transitare nei ruoli di altre amministrazioni).
La seconda ipotesi avrebbe dovuto essere trattata con apposito decreto (che nelle aspettative avrebbe dovuto definire criteri, limiti, sedi, ruoli, funzioni, rendendo concreta l’alternativa) in attesa del quale la netta maggioranza dei dipendenti interessati aveva assunto un atteggiamento attendista, non presentando domanda alcuna.
Ebbene, la cosiddetta Spending review è intervenuta sulla materia, tra polemiche roventi che tuttavia non hanno smussato la portata delle disposizioni.
Inidoneità psicofisica dei docenti
In particolare, il comma 13 dell’art. 14 del decreto 95/2012 convertito nella legge 135 del 7/08/2012, insieme all’integrazione contrattuale di fine luglio, intervengono nella materia con disposizioni stringenti. Nello specifico le novità del personale inidoneo riguardano:
- docenti inidonei in modo permanente e idonei ad altri compiti: questi transitano obbligatoriamente nei ruoli ATA (qualifica assistente amministrativo o tecnico), su posti vacanti della provincia tenendo conto delle sedi indicate, oppure, a richiesta, su posti di altre province. Mantengono il maggiore trattamento stipendiale riassorbibile con ulteriori miglioramenti economici. Il testo emendato in sede di conversione prevede che, solo dopo l’immissione in ruolo, si possa transitare in altre amministrazioni dove esprimere al meglio la propria professionalità, nel rispetto dei limiti assunzionali;
- docenti temporaneamente inidonei: si prevede che vengano utilizzati su posti di assistente amministrativo o tecnico della provincia, tenendo conto delle sedi indicate, ovvero su posti di altre province. Il punto in questione va sottolineato; mentre infatti per i docenti inidonei in modo permanente il transitamento in altra provincia è solo su espressa richiesta, tale circostanza viene meno in questo caso, facendo intendere che può essere previsto l’impiego coattivo in sede di diversa provincia. Considerato il disagio cui questa norma, a carico di personale in difficoltà psicofisica, può dar luogo, si immagina che la previsione possa essere foriera di ulteriori polemiche;
- docenti già inidonei inquadrati nei ruoli di assistenti amministrativi o tecnici in base alla normativa dello scorso anno: un recente accordo in sede di contrattazione nazionale integrativa, datato 31 luglio, prevede che detto personale possa «partecipare, a domanda, alla mobilità qualora non soddisfatto relativamente alle preferenze espresse [...]» concorrendo sempre in seconda fase (anche per trasferimento nelle scuole dello stesso comune della scuola di titolarità) come proveniente da fuori sede.
Le previsioni suddette, soprattutto le prime due, hanno dato luogo ad un vasto dibattito nella comunità scolastica e sindacale, e a veementi proteste, tese soprattutto a criticare il trasferimento coattivo nei ruoli amministrativi o tecnici e i potenziali “declassamento” e perdita di professionalità per l’operazione suddetta. Nel rilevare come sia singolare considerare un sicuro declassamento transitare nell’area amministrativa o tecnica, come fossero ruoli di automatico svilimento professionale invece che terreni di nuove opportunità, competenze specifiche e professionalità, attendiamo che le opportune integrazioni ministeriali chiariscano le modalità concrete dei trasferimenti. I cambi di sede e i trasferimenti fuori provincia immaginiamo saranno i terreni delle battaglie più aspre.
Ferie: un diritto gravemente limitato
Il decreto 95 reca, all’art. 5 comma 8, una delle misure più lesive dei diritti dei pubblici dipendenti che siano mai state emanate, a parere di chi scrive, con conseguenze che gran parte dei commentatori non ha rilevato nella portata ma che potrebbero essere davvero pesanti per la vita dei lavoratori, oltre che di probabile incostituzionalità e di certa esasperazione del contenzioso.
Come prescrive la norma, le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale delle amministrazioni pubbliche:
«sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile».
Il testo è inequivocabile, poiché prevede la assoluta impossibilità di retribuire le ferie non godute, in qualsiasi caso di cessazione dal lavoro e a prescindere da qualsiasi motivo le stesse non siano state fruite.
Le ferie quindi non possono mai essere retribuite, anche quando la mancata fruizione non dipenda da motivi imputabili al lavoratore, o anche al datore di lavoro.
Se è abbastanza agevole intervenire per “obbligare” i dipendenti a fruire delle ferie nei periodi imposti dalle normative contrattuali, diversi sono i casi in cui è impossibile, oppure molto difficile, e non imputabile ad alcuna responsabilità, fruire delle ferie. Analizziamoli brevemente:
- Cessazione dal lavoro dopo malattia: è un caso singolarmente trattato dalla Cassazione tre giorni dopo la pubblicazione del decreto, con pronuncia 11462/2012. In contrasto con il decreto di urgenza, la Corte afferma che «il diritto alle ferie [...] gode di una tutela rigorosa, di rilievo costituzionale, visto che l’art. 36 terzo comma Cost. prevede testualmente che “il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non puo’ rinunziarvi” e che “ove in concreto le ferie non siano effettivamente fruite [...] spetta al lavoratore l’indennità sostitutiva che, oltre a poter avere carattere risarcitorio [...] costituisce un’erogazione di natura retributiva, perché non solo è connessa al sinallagma caratterizzante il rapporto di lavoro [...] ma più specificamente rappresenta il corrispettivo dell’attività lavorativa resa in un periodo che, pur essendo di per sé retribuito, avrebbe dovuto essere invece non lavorato». La Corte richiama la sentenza della Corte di Giustizia della UE del 20/01/2009, emanata in sede di interpretazione della direttiva europea 2003/88; questa sentenza stigmatizza le disposizioni nazionali che «escludano il diritto ad un’indennità finanziaria sostitutiva delle ferie non godute del lavoratore che sia stato in congedo per malattia [...]». Ricordiamo inoltre che anche il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3637/2008, aveva sostenuto che «il diritto al congedo ordinario e al compenso sostitutivo costituiscono due facce inscindibili di una stessa situazione giuridica, costituzionalmente tutelata dall’art. 36 e riconosciuta dalle specifiche norme di settore».
- Ferie del personale precario scolastico: in base alle disposizioni contrattuali di cui all’art. 19, non sono da fruirsi obbligatoriamente nel periodo di sospensione delle lezioni e possono essere monetizzate se la durata del rapporto di lavoro sia tale da non consentirne la fruizione. È evidente come anche questo caso rientri nell’ambito della normativa, e come il personale in questione non abbia più diritto ad alcuna monetizzazione delle ferie. Il MEF, con nota n. 113 del 24/07/2012, richiama una precedente interpretazione del MIUR e, a proposito delle nuove disposizioni, chiarisce a scanso di ogni equivoco che la norma si applica al personale scolastico, a tempo determinato e indeterminato, e che sospende ogni pagamento in corso fino alla conversione del decreto (che non ha poi innovato in merito). Di conseguenza, la portata assegnata in sede istituzionale al disposto normativo sembra retroattiva, e penalizzerebbe anche i dipendenti precari non ancora pagati con contratto scaduto al 30 giugno o in scadenza successiva. Ogni protesta, pur veemente e giustificata, e proposta di emendamento non è stata accolta nel testo definitivo, per cui si prevede un ampio ricorso in sede contenziosa e un’aspra battaglia sindacale, peraltro già iniziata, sul punto. In ultimo tuttavia, una nota del Dipartimento Funzione Pubblica del 6 agosto, prevede che nel caso di specie non vige l’irretroattività per cui «la preclusione alla monetizzazione non riguarda i rapporti di lavoro già cessati prima dell’entrata in vigore dell’art. 5 in esame, le situazioni in cui le giornate di ferie sono state maturate prima dell’entrata in vigore della predetta disposizione e ne risulti incompatibile la fruizione a causa della ridotta durata del rapporto o a causa della situazione di sospensione del rapporto cui segua la sua cessazione [...]». L’ultima interpretazione pare essere perlomeno garanzia di pagamento per le prestazioni già rese, ed è stata ora confermata dalla Ragioneria Generale dello Stato e poi dal Mef (informativa Spt n. 135 del 6/09/2012), che hanno disposto il pagamento delle ferie non godute (ma maturate prima del 7 luglio 2012, data di entrata in vigore del decreto) per tutto il personale della scuola a tempo indeterminato e determinato, con la motivazione che «la legge non può mai disporre per il passato». Penalizzati invece i supplenti pagati dalle scuole, per i quali il Miur non si è ancora pronunciato.
- Morte del lavoratore: il decesso del lavoratore, evidente causa di impossibilità di fruizione delle ferie maturate non imputabile al lavoratore, consentiva la corresponsione della monetizzazione agli eredi. Tale diritto viene escluso dalla normativa in questione, pur se la causa di morte non viene elencata tra quelle di cessazione del rapporto (mentre viene indicata la mobilità, che, come sappiamo, non è affatto causa di cessazione).
- Preavviso: la normativa generale dettata dal codice civile all’art. 2109 vieta la concessione delle ferie nel periodo di preavviso. Per la scuola l’art. 23 del CCNL prevede che in caso di dimissioni il preavviso consti in un periodo tra i due e i quattro mesi, in relazione all’anzianità di servizio; si possono arrivare a maturare, in questo periodo, più di 10 giorni di ferie. In conclusione, se nel periodo di preavviso, in caso di cessazione per morte o dopo lungo periodo di malattia non si possono concedere le ferie perché vietato o impossibile, e se esse non sono mai monetizzabili, pare evidente che il legislatore ha voluto porre nel nulla il diritto alle ferie (che se non monetizzabile e non fruibile di fatto non esiste) e confutare con un decreto legge una disposizione costituzionale.