I supplenti con contratto di lavoro a tempo determinato di durata annuale hanno diritto a percepire il beneficio economico di 500 euro della cosiddetta Carta docente, considerato che sono richiesti loro gli stessi diritti e obblighi formativi del personale di ruolo e svolgono gli stessi compiti dei docenti a tempo indeterminato.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, con sentenza n. 1842 del 16/03/2022, accogliendo il ricorso di alcuni supplenti e annullando la precedente sentenza del TAR Lazio.
La sentenza impugnata
Alcuni docenti di religione cattolica a tempo determinato nelle scuole di ogni ordine e grado hanno lamentato che la P.A., nel dare attuazione all’art. 1, comma 121 della Legge 107/2015, istitutivo della Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente (cd. Carta del docente, di importo pari a 500 euro annui), li ha espressamente esclusi dal beneficio, il quale è stato riservato solo ai docenti di ruolo, a tempo pieno o part-time, con esclusione di quelli con contratti di lavoro a tempo determinato.
I docenti hanno quindi impugnato innanzi al TAR Lazio – Roma l’art. 2 del D.P.C.M. 32313 del 25/09/2015 (che ha definito le modalità di assegnazione e di utilizzo della Carta, indicando come suoi destinatari i docenti di ruolo a tempo indeterminato delle scuole statali), unitamente alla nota M.I. 15219 del 15/10/2015, che, nel fornire alcune indicazioni operative in ordine alla Carta, ha ribadito la sua assegnazione esclusivamente ai docenti di ruolo e non, invece, ai docenti a tempo determinato.
Con sentenza della Sezione III-bis n. 7799 del 7/07/2016, tuttavia, l’adito Tribunale ha respinto il ricorso.
In sintesi, la sentenza appellata, dopo aver affrontato la questione di giurisdizione, ha affermato l’infondatezza delle censure dei ricorrenti, disattendendo la questione di illegittimità comunitaria. Ciò, perché ad avviso del TAR la Carta del docente non rientra nelle “condizioni di impiego” di cui alla clausola 4 dell’Accordo-quadro sul lavoro a tempo determinato del 18/03/1999 allegato alla direttiva n. 1999/70/CE del 28/06/1999 (in relazione alle quali la predetta clausola prescrive che i lavoratori a tempo determinato non siano trattati in modo meno favorevole di quelli a tempo indeterminato), non avendo la stessa natura di retribuzione accessoria o reddito imponibile, ma essendo attinente alla formazione del docente (che non è riconducibile alle “condizioni di impiego”).
Il TAR ha inoltre disatteso la dedotta questione di costituzionalità dell’art. 1, comma 121 della Legge 107/2015, perché, da un lato, la Carta del docente compensa la maggiore gravosità del servizio svolto dai docenti di ruolo, per i quali la formazione in servizio è divenuta attività obbligatoria, strutturale e permanente; dall’altro, nonostante la scelta del Legislatore contrasti con il CCNL di categoria (invocato dai ricorrenti per sostenere l’esistenza di un obbligo di formazione anche per i docenti non di ruolo), deve ritenersi che la previsione di legge, in quanto successiva, prevalga; in terzo luogo, il confronto con gli artt. 63 e 64 del CCNL mostra che la formazione è divenuta obbligatoria solo per i docenti di ruolo, non essendo previsto nessun obbligo al riguardo per i docenti non di ruolo.
Con il ricorso i docenti hanno, quindi, impugnato la menzionata sentenza del TAR, chiedendone l’annullamento, previa tutela cautelare.
La decisione del Consiglio di Stato
Secondo i giudici, è in particolare fondato il terzo motivo di appello, con cui la scelta del Ministero di escludere dal beneficio della Carta del docente il personale con contratto a tempo determinato viene censurata sotto i profili dell’irragionevolezza e della contrarietà ai principi di non discriminazione e di buon andamento della P.A.
La sentenza appellata ricostruisce – come condivisibilmente lamentano gli appellanti – un sistema di formazione “a doppia trazione”: quella dei docenti di ruolo, la cui formazione è obbligatoria, permanente e strutturale, e quindi sostenuta sotto il profilo economico con l’erogazione della Carta, e quella dei docenti non di ruolo, per i quali non vi sarebbe alcuna obbligatorietà e, dunque, alcun sostegno economico. Ma un tale sistema collide con i precetti costituzionali degli artt. 3, 35 e 97 Cost., sia per la discriminazione che introduce a danno dei docenti non di ruolo (resa palese dalla mancata erogazione di uno strumento che possa supportare le attività volte alla loro formazione e dargli pari chances rispetto agli altri docenti di aggiornare la loro preparazione), sia, ancor di più, per la lesione del principio di buon andamento della P.A.
Inoltre, la differenziazione appena descritta contrasta con l’esigenza del sistema scolastico di far sì che sia tutto il personale docente (e non certo esclusivamente quello di ruolo) a poter conseguire un livello adeguato di aggiornamento professionale e di formazione, affinché sia garantita la qualità dell’insegnamento complessivo fornito agli studenti.
In altre parole, è evidente la non conformità ai canoni di buona amministrazione di un sistema che, ponendo un obbligo di formazione a carico di una sola parte del personale docente (e dandole gli strumenti per ottemperarvi), continua nondimeno a servirsi, per la fornitura del servizio scolastico, anche di un’altra aliquota di personale docente, la quale è tuttavia esclusa dalla formazione e dagli strumenti di ausilio per conseguirla.
Secondo il Consiglio di Stato, nella misura in cui la P.A. si serve di personale docente non di ruolo per l’erogazione del servizio scolastico, deve curare la formazione anche di tale personale, al fine di garantire la qualità dell’insegnamento fornito agli studenti.
Dunque, non è corretto ritenere che l’erogazione della Carta vada a compensare la maggiore gravosità dello sforzo richiesto ai docenti di ruolo in chiave di aggiornamento e formazione, poiché un analogo sforzo non può che essere richiesto anche ai docenti non di ruolo, a pena, in caso contrario, di creare un sistema “a doppio binario”, non in grado di assicurare la complessiva qualità dell’insegnamento.
«Del resto» si legge nella sentenza «l’insostenibilità dell’assunto per cui la Carta del docente sarebbe uno strumento per compensare la pretesa maggior gravosità dell’obbligo formativo a carico dei soli docenti di ruolo, si evince anche dal fatto che la Carta stessa è erogata ai docenti part-time (il cui impegno didattico ben può, in ipotesi, essere più limitato di quello dei docenti a tempo determinato) e persino ai docenti di ruolo in prova, i quali potrebbero non superare il periodo di prova e, così, non conseguire la stabilità del rapporto. E l’irragionevolezza della soluzione seguita dalla P.A. emerge ancora più chiaramente dalla lettura del D.P.C.M. del 28/11/2016 (che ha sostituito quello del 23/09/2015), il quale, all’art. 3, individua tra i beneficiari della Carta anche “i docenti in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o altrimenti utilizzati”: di tal ché, a seguire l’opzione della P.A., vi sarebbero dei docenti che beneficerebbero dello strumento pur senza essere impegnati, al momento, nell’attività didattica, mentre altri docenti, pur svolgendo diversamente dai primi l’attività didattica, non beneficerebbero della Carta e, quindi, sarebbero privati di un ausilio per il loro aggiornamento e la loro formazione professionale».
La questione dei destinatari della Carta del docente va riguardata tenendo conto anche della disciplina prevista in tema di formazione dei docenti dal CCNL di categoria: questa va letta in chiave non di incompatibilità, ma di complementarietà rispetto al disposto dell’art. 1, commi 121-124 della Legge 107/2015.
L’interpretazione di tali commi deve, cioè, tenere conto delle regole in materia di formazione del personale docente dettate dagli artt. 63 e 64 del CCNL di categoria: regole che pongono a carico dell’Amministrazione l’obbligo di fornire a tutto il personale docente, senza alcuna distinzione tra docenti a tempo indeterminato e a tempo determinato, «strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio».
E non vi è dubbio – secondo i giudici – che tra tali strumenti possa (e anzi debba) essere compresa la Carta del docente. Per tale ragione, il Consiglio di Stato conclude che anche i docenti a tempo determinato hanno diritto ai 500 euro per la formazione.