Quando si parla di tormentoni estivi in genere si pensa alle canzonette che ci accompagnano per un certo periodo vacanziero in modo così invasivo e coinvolgente da rimanere nella memoria e nel cuore, salvo farsi sostituire, nell'estate successiva, da un analogo e rinnovato martellante motivetto.
Nel mondo della scuola, il tormentone che accompagna questa strana e piovosa estate è quello dei supplenti.
Si badi bene, non è esattamente una novità, perché sembra proprio questa la stagione che più si addice a sviluppare i temi del precariato (del resto, con le scuole a battenti chiusi, di cos'altro si potrebbe parlare?), né ci stupisce molto che dalla parti di Viale Trastevere si provi a cantierizzare una "riforma epocale", anzi, una rivoluzione, che prevede l'abolizione del precariato, in perfetta sintonia con i tormentoni costituiti dalle parole chiave "autonomia" e "merito".
Stavolta però sembra che si faccia sul serio: proclamato che le supplenze fanno male a tutti, a chi le fa (perché si trova in una condizione lavorativa e professionale aleatoria, frammentata e transitoria) e a chi le riceve (gli studenti, perché è materialmente impossibile programmare e svolgere efficacemente un'attività didattica che dura pochi giorni, a volte poche settimane o, come spesso avviene, poche ore), e che quello delle supplenze è, come ha dichiarato il Ministro Giannini al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini di questa settimana, "un agente patogeno, un batterio da eliminare dal sistema scolastico italiano", dà conforto e fa tirare un sospiro di sollievo la precisazione che, in ogni caso, non si procederà alla soppressione fisica dei supplenti. Meglio essere chiari, nel dubbio.
L'ipotesi è dunque quella della stabilizzazione (= assunzione a tempo indeterminato) di 100.000 precari nel triennio 2015-2018 (fonte Sole 24 Ore del 27 agosto 2014), da assumere metà tra i vincitori di un concorso che dovrebbe essere bandito nel 2015 (confidando che riesca meglio di quello appena concluso tra ritardi, ricorsi e sospensive di ogni genere), e metà tra i docenti inseriti nelle GAE, le graduatorie ad esaurimento dei circa 154.000 precari storici in possesso di regolare abilitazione che, ad ogni inizio di anno scolastico, accorrono nelle aule degli ex provveditorati, facendosi forza con il foglietto dei posti disponibili messo a disposizione all'ultimo minuto per dare un'idea di quale zona della provincia presenti buchi da tappare negli organici.
Sarebbe davvero un'ottima idea quella di ragionare sulla base di un organico funzionale, che davvero serve alla scuola, anziché sulle ipotesi di diritto prima e di fatto poi; sarebbe certamente l'optimum che il numero degli insegnanti fosse adeguato al complesso delle necessità e potesse essere utilizzato anche per la copertura dei posti vacanti e disponibili, oltre che delle supplenze più lunghe. Si tratta solo di definire quell'antipatico "dettaglio" della copertura finanziaria, 570 milioni di euro che non sono proprio noccioline ma rappresentano lo scoglio su cui nel 2011 si era infranto il piano Profumo di definire un organico funzionale di Istituto, sistema utile per rispondere alle esigenze reali della didattica e dell'organizzazione e non a quelle sulla carta (interessante la citazione di un altro materiale che - prima delle supplenze - si vorrebbe far sparire dall'ambito scolastico), il quale presentava l'unico difetto di non essere troppo rispondente alle finalità stringi-cinghia che da sempre attanagliano il mondo della scuola.
L'annuncio ha certamente suscitato notevole interesse e più di qualche reazione, alimentata dalla genericità, dalla incompletezza e dalla suspence creata ad arte, che rimanda ad un annuncio successivo, ancora avvolto nell'alone del mistero.
Mistero su contenuti, metodi, strumenti (finanziari, soprattutto) e compiti previsti per concretizzare la vision ministeriale.
Nel frattempo possiamo sognare un futuro finalmente sgombro da supplenze, con insegnanti che si sostituiscono fraternamente da soli appena sanno che il collega si assenta, con studenti liberati dall'attesa goliardica del supplente (anzi, della supplente, come la nostra storia cinematografica ci suggerisce), con personale amministrativo che non deve passare le mattinate al telefono per trovare un'anima pietosa che dica di sì, "arrivo subito, o forse tra un'ora o due, se trovo il mezzo pubblico", con collaboratori scolastici esonerati dall'obbligo di fare i mastini in attesa di..., con dirigenti salvati dalle acque torbide dei ricorsi sempre incombenti per un uso improprio delle graduatorie.
E a proposito di graduatorie, possiamo ipotizzare che non dovremo più combattere con la normativa incerta, le procedure fumose e i supporti informatici schizzati che ci hanno accompagnato nella produzione delle graduatorie di istituto 2014-2017, nella cui formulazione è stata introdotta una novità piuttosto importante ma quasi passata sotto silenzio: il valore abilitante dato per decreto (DPR 15/03/2014) ai diplomi di scuola o istituto magistrale conseguiti entro l'anno 2002, alla faccia di lauree abilitanti, SSIS congelate e abolite, TFA e PAS costosi e selettivi. Tre anni scolastici frequentati dopo la terza media saranno sufficienti a salire in cattedra nelle scuole dell'infanzia, quattro basteranno per la scuola primaria, con buona pace di merito, studi universitari e prove concorsuali superate.
Graduatorie di ogni tipo, permanenti e non permanenti, di prima, seconda e terza fascia, alle quali aggiungere le graduatorie (?) delle domande di messa a disposizione, costituiscono davvero un agente patogeno, un'anomalia di sistema.
Un'anomalia tutta nostra, come quella della progressione di carriera (= aumenti di stipendio) legata esclusivamente al tempo passato in servizio, senza alcuna valutazione della qualità del lavoro svolto e senza forme di premialità del merito.
Un'anomalia anche il doppio binario delle assunzioni (graduatorie e concorso) che mantiene una certa logica solo in funzione del previsto progressivo svuotamento delle graduatorie dei precari e che ci rende quasi unici in Europa, dove i sistemi di reclutamento sono diversi ma sostanzialmente univoci: concorso, prevalente nei Paesi mediterranei, e reclutamento aperto, più diffuso nei Paesi del nord est Europa, dove tale metodo è decentralizzato e spesso affidato ai singoli istituti scolastici, quasi sempre in accordo con le municipalità locali.
Possiamo essere d'accordo sulla volontà di non accettare lezioni da nessuno, ma una qualche buona pratica forse si potrebbe comunque copiare.