Nello scorso mese di marzo il Ministro della Pubblica Amministrazione ha presentato un nuovo alfabeto (A-B-C-D) come contributo per il Piano di Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR):
- A come Accesso, per dotare la Pubblica Amministrazione delle migliori competenze, ripensando profondamente i meccanismi di selezione e reclutamento delle persone
- B come Buona amministrazione, cioè semplificazione delle procedure amministrative, reingegnerizzazione dei processi e trasformazione digitale
- C come Capitale umano, tema chiave per il futuro del Paese e della nostra Pubblica Amministrazione, con l’intento di investire in maniera significativa sulla qualificazione e riqualificazione delle persone (upskill e reskill, detto in inglese, così in Europa si capisce meglio), a partire dalle competenze tecnico-specialistiche, ma soprattutto da quelle gestionali, organizzative, relazionali (leadership, approccio per obiettivi, problem-solving, digitale). Occorre valorizzare il personale, semplificando i percorsi di carriera, emancipandoli da vetusti mansionari e progressioni ancorate più all’anzianità che al merito...
- D come Digitalizzazione, per una PA “nativa digitale”, concetto che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.
Anche secondo l’OCSE, l’efficienza della PA è priorità essenziale per la ripresa per l’Italia, specialmente dopo la crisi post pandemia, che “rischia di far calare ulteriormente i tassi di occupazione, già bassi, e di rafforzare le diseguaglianze, soprattutto per chi ha uno scarso livello di competenze e un basso livello di formazione continua".
Certo, l’esigenza si sente fortemente nel settore privato, dove l’upskilling e il reskilling del personale sono concetti noti e applicati per rimanere competitivi e non dover escludere dal mondo del lavoro i dipendenti non aggiornati e non qualificati, ma nella PA il bisogno della qualificazione e formazione non è altrettanto sentito, se è vero che – come risulta dalle stesse Linee programmatiche del Ministro – “gli investimenti in formazione si sono dimezzati: dai 262 milioni di euro del 2008 ai 154 milioni del 2018: 48 euro per dipendente, 1 giorno di formazione l'anno”.
E nella scuola? E per gli ATA? Certo, sotto il profilo squisitamente giuridico, il personale amministrativo, tecnico e ausiliario delle scuole non dipende dal Ministero della Pubblica Amministrazione ma da quello dell’Istruzione, e probabilmente questo fa la differenza.
A proposito della formazione infatti la pagina dedicata del Ministero dell'Istruzione rimanda curiosamente, per la voce Risorse, alla piattaforma S.O.F.I.A., esplicitamente dedicata ai docenti, l’elenco degli enti accreditati/qualificati è fermo all’a.s. 2017/18, i convegni con diritto a esoneri sono del 2016 e la più recente nota di “Organizzazione e avvio dei corsi per il personale ATA” è del 2015. Sembrerebbe quasi che non sia avvertita la necessità, neppure di facciata, di reskillare il personale, la cui età media va oltre i 50 anni e che sorregge la gestione di circa 8.200 istituzioni scolastiche, il cui funzionamento è al servizio di 7 milioni e mezzo di studenti e rispettive famiglie (Fonte: Principali dati della scuola –Avvio Anno Scolastico 2020/2021).
E neppure sembra che si avverta la necessità di reclutare capitale umano giovane e competente: i concorsi per il personale ATA (se escludiamo quello dei DSGA) fin dalla notte dei tempi sono basati esclusivamente su titoli e prevalentemente sul lavoro di categorie preselezionate di persone (concorso per chi ha 24 mesi di servizio), il che sembra essere più un’operazione di upgrade piuttosto che di upskill, per dirla tutta.
Anche il bando per le graduatorie di III fascia recentemente pubblicato non pare discostarsi dalla medesima impostazione: età massima dei candidati 67 anni (confermando che la scuola non è un paese per giovani) e valutazione dei titoli di servizio più “pesante” rispetto a quelli di cultura: per gli assistenti amministrativi, ad esempio, 16 giorni di servizio prestato nella medesima qualifica valgono quanto una certificazione ECDL di base e un anno di servizio svolto in una scuola paritaria (anche dell’infanzia, magari con 1 sola sezione e per 1 sola ora alla settimana) vale quanto una laurea e mezza.
Tra i titoli di cultura, l’aver superato un concorso pubblico per carriere di concetto o esecutive vale quanto un attestato di addestramento professionale per la dattilografia rilasciato al termine di un corso istituito da enti pubblici, titolo che a sua volta vale il doppio dell’ECDL.
Non incuriosisce tanto il motivo per cui un qualsiasi anche minuscolo Comune d’Italia organizzi questa offerta formativa per gli aspiranti impiegati della scuola, quanto la singolarità della valutazione di un addestramento per servizi meccanografici che - per usare un eufemismo - non sembra esattamente in linea con le necessità di una PA “nativa digitale”.
È ben vero però che le citate Linee Programmatiche del PNRR si riferiscono alla Pubblica Amministrazione e non – in senso stretto - alla scuola. Per il cui Capitale umano probabilmente si accettano miracoli.