Pochi giorni fa è stato pubblicato dall’INPS il resoconto annuale delle assenze per malattia dei lavoratori dipendenti pubblici e privati.
Gli organi di informazione non ne hanno parlato molto, eppure i dati riportati sono interessanti per le valutazioni, sempre numerose da parte dei media e pressoché negative (per usare un eufemismo) nei confronti del pubblico impiego.
Dai dati pubblicati, si evincono infatti notizie positive; il numero sia dei certificati trasmessi che degli eventi di malattia nel settore pubblico risulta in diminuzione rispetto all’anno precedente, nonostante la platea dei dipendenti pubblici sia di età media nettamente superiore rispetto al settore privato, per le note misure di contenimento della spesa pubblica, del personale e del turn over.
Nel settore privato, invece, si riscontra un aumento rispetto al 2015.
L’Osservatorio INPS, inoltre, riporta tra gli altri i dati della produzione dei certificati per giorno della settimana; si evidenzia come il giorno in cui vengono trasmessi più certificati sia il lunedì, e questo, nonostante la vulgata da bar, è fenomeno del tutto comprensibile, poiché si sommano nello stesso giorno i certificati del week end non lavorativo, mentre il venerdì è il giorno in cui si presentano meno certificati rispetto al resto della settimana. Quindi: non è vero che a cavallo del fine settimana si verifichino più segnalazioni di malattia; inoltre, di lunedì e di venerdì il settore privato produce più certificati del settore pubblico, come ben evidenziato anche nelle tabelle messe a disposizione dall’I.N.P.S.
Questi i dati.
Diversa la vulgata massemediologica che, recentemente digiuna di furbetti del cartellino, prosegue nello screditamento della categoria.
Opposta, infine, la reazione del legislatore a fronte dei dati ufficiali, come evidenziato dal Decreto 206/2017 della Presidenza del Consiglio, Dipartimento Funzione Pubblica, recentemente pubblicato.
Il decreto infatti:
- nonostante i dati, conferma la disparità di trattamento delle fasce orarie di reperibilità, confermando le 7 ore giornaliere per il pubblico e le 4 per il privato, benché anche il Presidente dell’INPS avesse auspicato una equiparazione del trattamento, anche a fini organizzativi;
- nonostante i dati, inserisce la possibilità di visite reiterate del medico fiscale (“cadenza sistematica e ripetitiva”, viene l’angoscia solo a leggere), misura che comporterà un notevole aumento dei costi;
- nonostante i dati, conferma l’obbligo, già previsto dal d. lgs. 165/2001, del controllo nei giorni antecedenti o successivi le festività o i giorni non lavorativi.
Quando eravamo studenti di Giurisprudenza, imparavamo che la norma va letta non acriticamente, ma anche sistematicamente, cercando di capire la ratio che la ispira e il fine cui è diretta; in questo caso, non è la disciplina del controllo (che non si discute) che colpisce, quanto l’aggravamento, la discriminazione, la pervicacia nel disegnare una realtà che i dati dipingono come diversa.
Poco male per i lavoratori onesti, la netta maggioranza, che non subiranno alcun cambiamento nella loro condotta lavorativa; male per i cittadini tutti, che vedranno una fetta ulteriore dei bilanci dello Stato impegnata in visite fiscali, il cui inasprimento probabilmente non era necessario.
Nel frattempo, la discrasia tra dati ufficiali, informazione e legge va avanti, e si accompagna a risultati costituzionalmente sconcertanti: a due anni e mezzo dalla sentenza della Corte Costituzionale che dichiarava l’illegittimità del blocco contrattuale per il pubblico impiego, gran parte dei lavoratori sono ancora con il contratto bloccato.
Fermi i contratti, da nove anni, e ferma la Corte Costituzionale, e il suo ruolo di supremo garante delle regole fondanti l’ordinamento giuridico dello Stato, evidentemente considerato poco importante dal legislatore e dall’informazione.
Che la discrasia cui accennavamo sia in realtà, questa sì, finalizzata ad uno scopo preciso?