Nella “Strategia Europa 2020” l’UE si era proposta di raggiungere entro il 2020 cinque grandi obiettivi tra i quali - relativamente al settore istruzione e formazione – era compreso l’aumento fino almeno al 40% della percentuale dei giovani laureati, nonché la riduzione sotto il 10% del tasso di abbandono scolastico.
In merito a quest’ultimo aspetto l’Unione Europea - per monitorare i progressi del verso la crescita “intelligente, sostenibile e inclusiva” - ha scelto l’indicatore ESL (Early school leavers, abbandono scolastico precoce, che si evolve in ELET (Early leavers from education and training).
Parliamo di persone di età compresa tra i 18 e i 24 anni che non hanno intrapreso alcun percorso di scuola secondaria di II grado, non frequentano alcun corso scolastico né svolgono attività formative. Una condizione che, sottraendosi all’opportunità offerta dal cosiddetto “Life Long Learning” (o Educazione permanente) colloca il soggetto al di fuori della prospettiva, sia pure “in ultima istanza”, di continuità degli studi o di altro tipo di formazione, quando non lo pone addirittura nella posizione di “evasione dall’ obbligo scolastico”.
Si parla di “dispersione esplicita”, distinta da quella “implicita” che riguarda la formazione di studenti che, purtroppo, evidenziano spesso difficoltà di apprendimento già nella scuola primaria.
È un fenomeno difficile da quantificare, ma riguarda molti giovani che – pur in possesso di un diploma di scuola secondaria di II grado - hanno scarse possibilità di realizzazione sul piano individuale e sociale in quanto privi delle competenze necessarie a tal fine, in analogia con coloro che non hanno concluso alcun ciclo di studi.
Un’accurata analisi di questo fenomeno fu condotta da Roberto Ricci, che nell’ottobre 2019 pubblicò un editoriale sul sito “INVALSI open” dal titolo “La dispersione scolastica implicita” che egli così descrisse: “Una quota non trascurabile di studenti che conseguono il diploma non raggiungono nemmeno lontanamente i livelli di competenza che ci si dovrebbe aspettare dopo tredici anni di scuola”.
A quel tempo ci si riferiva ad una percentuale del 7% dei diplomati che uscivano dal percorso scolastico con una preparazione di base corrispondente ad un livello compreso tra la seconda “superiore” e la terza “media”.
Secondo le rilevazioni INVALSI, tale dato, al momento attuale, ha subito un sensibile aumento in molte Regioni d’Italia.
Questo preoccupante problema dovrebbe essere gestito in modo sinergico dalle scuole, dalle famiglie, dalle comunità locali, condividendo la responsabilità educativa di guidare e supportare la formazione per abilitare tutti i giovani cittadini ad una gestione delle proprie scelte ed opportunità di vita.
La scuola, in particolare, dovrebbe rispettare in via prioritaria il dettato costituzionale che richiede di offrire un iter di studi finalizzato alla miglior integrazione sociale di ciascuno.
Tale finalità non attribuisce al sistema nazionale d’istruzione una funzione selettiva, ma richiede un impegno di costruzione di un percorso di promozione delle potenzialità di ciascuno individuando il più precocemente possibile le “inclinazioni autentiche” per indirizzarle verso Progetti di vita in linea con le stesse.
La ricerca ed il riconoscimento delle capacità individuali dovrebbe iniziare già agli esordi della vita scolastica, ponendo in atto precocemente tutte le azioni che possono evitare l’insorgere di quella demotivazione che sta alla base della mancata acquisizione (o del mancato consolidamento) delle competenze di base.
Anche se il raggiungimento di queste ultime rimane comunque un punto fermo, la dispersione scolastica (implicita o esplicita) va interpretata, a mio avviso, soprattutto come fallimento definitivo dell’impostazione tradizionale della didattica, fatta esclusivamente di lezioni frontali che veicolano contenuti disciplinari uguali per tutti, cui seguono verifiche indifferenziate del grado di acquisizione dei contenuti in questione. Qualcuno potrebbe obiettare che “una volta si imparava di più e meglio”. Non è esattamente così.
Il modello di scuola “tradizionale” è risultato probabilmente più efficace in un momento storico le cui caratteristiche culturali, economiche e sociali erano radicalmente diverse rispetto ad oggi.
Si sottolinea il termine probabilmente perché non pochi rappresentanti della mia generazione (anni ’60, per precisare) dichiarano di aver individuato i propri “punti di forza” solo col tempo e al di fuori del percorso scolastico, nel corso del quale hanno comunque risposto con impegno ed applicazione alle richieste dei docenti. Altri ancora hanno “trovato la loro strada” nonostante le predizioni poco favorevoli dei loro insegnanti.
In ogni caso, al giovane cittadino di oggi vengono richieste competenze, non solo diligenza e capacità esecutiva. Non è il caso di ribadire in questa sede le profonde differenze tra gli aspetti sopra indicati, ma di ricordare una volta per tutte che la competenza presuppone sempre il trasferimento e l’utilizzo consapevole di ciò che si è appreso nella concreta situazione di vita, sia professionale sia personale.
Le prove INVALSI si basano su competenze: è questo uno dei motivi per i quali una parte di docenti “tradizionali” continuano a considerarle “estranee” alla quotidianità del percorso scolastico e, di conseguenza, non riservano un’adeguata importanza ed attenzione ai risultati conseguiti nelle stesse da parte dei propri alunni.
Per intervenire sulla dispersione scolastica un’ottima base di partenza potrebbe essere un serio ripensamento in merito alla dimensione orientativa della scuola, che deve mettere in atto tutte le risorse e le strategie possibili per evitare sia “l’abbandono del banco” sia il trascinamento infruttuoso di una carriera scolastica inutile, fatta di voti rimediati all’ultimo momento al solo scopo di “uscire con un pezzo di carta in mano”.
Non dimentichiamo, tra l’altro, che spesso quest’ultima soluzione viene considerata l’unica possibile anche da parte di insegnanti stanchi e sfiduciati nei confronti di qualche studente che in realtà non hanno mai veramente conosciuto come persona.