I permessi ex art. 33 della legge 104/1992, cui hanno diritto i lavoratori dipendenti per assistere i figli disabili, non sono computabili ai fini delle ferie e della tredicesima, ma soltanto nel caso in cui siano fruiti in cumulo con i congedi parentali e con i congedi per la malattia del figlio.
Il chiarimento è contenuto nella sentenza n. 15435 del 7 luglio scorso con la quale la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un datore di lavoro avverso la sentenza della Corte di appello, che lo aveva condannato a corrispondere ad una dipendente la somma, pari a circa 300 euro, a titolo di quota parte di tredicesima e quattordicesima mensilità che lo stesso tratteneva sullo stipendio nei giorni in cui la dipendente fruiva dei permessi per assistere il figlio con disabilità grave.
La Corte territoriale aveva statuito che la non computabilità di detti permessi ai fini della tredicesima mensilità opera solo nel caso in cui essi si cumulino con i congedi parentali, circostanza che non ricorreva nel caso in esame.
Tale interpretazione è stata accolta anche dalla Cassazione, secondo la quale “sotto il profilo sistematico, determinante è la considerazione che i permessi per l’assistenza ai portatori di handicap poggiano sulla tutela dei disabili predisposta dalla normativa interna - ed in primis dagli artt. 2, 3, 38 della Costituzione - ed internazionale - quali sono la Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 e la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 3 marzo 2009, n. 18. Significativamente, la Convenzione ONU prevede il sostegno e la protezione da parte della società e degli Stati non solo per i disabili, ma anche per le loro famiglie, ritenute strumento indispensabile per contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità”.
Pertanto, “ragioni di coerenza con la funzione dei permessi e con i principi indicati impongono l’interpretazione della disposizione maggiormente idonea ad evitare che l’incidenza sull’ammontare della retribuzione possa fungere da aggravio della situazione economica dei congiunti del portatore di handicap e disincentivare l’utilizzazione del permesso stesso”.