La permanenza all’estero costituisce una fase necessaria della procedura di adozione internazionale, per cui, se debitamente certificata, va riconosciuta quale periodo di congedo di maternità. Anche se non si dia seguito all’adozione.
A chiarirlo è il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con interpello n. 39 del 5 novembre 2010 con il quale risponde alla richiesta dell’ Associazione Nazionale Comuni d’Italia in merito alla fruizione del congedo di maternità richiesto, nell’ipotesi di adozione internazionale, per svolgere all’estero gli adempimenti correlati alle procedure adottive. In particolare l’ANCI chiedeva di sapere se “nel caso di interruzione della procedura adottiva, con conseguente rientro del lavoratore e senza il verificarsi dell’ingresso del minore in Italia, il relativo periodo di assenza fruito dal dipendente per adempimenti correlatiti alla procedura adottiva possa comunque essere considerato come congedo di maternità”.
La risposta del Ministero è positiva. Infatti, relativamente al periodo massimo di 5 mesi di congedo di maternità che l’art. 26, comma 3, D.Lgs. 151/2001, come modificato dall’art. 2, comma 452, L. n. 244/2007 consente di utilizzare anche durante il periodo di permanenza all’estero necessario per l’incontro con il minore e per gli adempimenti connessi alla procedura di adozione antecedentemente all’ingresso dello stesso in Italia, il Ministero osserva come l’eventuale esito negativo degli incontri – di cui l’ente autorizzato alla gestione della procedura di adozione informa la Commissione per le adozioni internazionali in Italia, relazionando sulle motivazioni per cui “l’abbinamento” effettuato non è stato rispondente agli interessi del minore – non sembra condizionare il riconoscimento del periodo trascorso all’estero come periodo di congedo di maternità.
In conclusione, il congedo di maternità va riconosciuto anche in caso di interruzione della procedura di adozione internazionale.