Il 24 aprile scorso la Corte Costituzionale si è pronunciata, con sentenza n. 76, sulla legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge della Regione Lombardia 18 aprile 2012, n. 7 (Misure per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione), riguardante la chiamata diretta dei docenti.
La disposizione impugnata prevedeva che:
“2-bis Al fine di realizzare l’incrocio diretto tra la domanda delle istituzioni scolastiche autonome e l’offerta professionale dei docenti, a titolo sperimentale, nell’ambito delle norme generali o di specifici accordi con lo Stato, per un triennio a partire dall’anno scolastico successivo alla stipula, le istituzioni scolastiche statali possono organizzare concorsi differenziati a seconda del ciclo di studi, per reclutare il personale docente con incarico annuale necessario a svolgere le attività didattiche annuali e di favorire la continuità didattica.
2-ter. È ammesso a partecipare alla selezione il personale docente del comparto scuola iscritto nelle graduatorie provinciali ad esaurimento.
2-quater. Le modalità di espletamento del bando di concorso sono definite, nel rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e pubblicità, con deliberazione della Giunta regionale, sulla base dell’intesa di cui al comma 2-bis.
2-quinquies. La Giunta regionale relaziona semestralmente sulla sperimentazione alla commissione consiliare competente”.
In sostanza, la norma consentirebbe, sia pure a titolo sperimentale, di procedere all’organizzazione di concorsi differenziati a seconda del ciclo di studi e al reclutamento del personale docente con incarico annuale “nell’ambito delle norme generali o di specifici accordi con lo Stato”.
In primo luogo, per la Corte Costituzionale le pure auspicabili forme di collaborazione e coordinamento tra apparati statali, regionali e di enti locali, che coinvolgano compiti e attribuzioni di organi dello Stato, non possono essere “disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni, nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa”, ma devono “trovare il loro fondamento o presupposto in leggi statali che le prevedano o consentano, o in accordi tra gli enti interessati”.
Alle selezioni concorsuali, secondo la legge regionale, è ammesso a partecipare soltanto “il personale docente del comparto scuola iscritto nelle graduatorie provinciali ad esaurimento”. In base al sistema così strutturato, ciascun istituto scolastico statale ha dunque la possibilità, alle condizioni indicate, di bandire i concorsi per il reclutamento dei docenti precari con incarico annuale.
Ma per la Corte è però evidente che in tal modo la Regione possa disporre in merito all’assunzione di una categoria di personale, appunto quello docente, che è inserito nel pubblico impiego statale, non tenendo dunque conto che nell’attuale quadro normativo il personale scolastico è alle dipendenze dello Stato e non delle singole Regioni.
Ne consegue che ogni intervento normativo finalizzato a dettare regole per il reclutamento dei docenti non può che provenire dallo Stato, nel rispetto della competenza legislativa esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., trattandosi di norme che attengono alla materia dell’ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato.
La disposizione in esame si inserisce nel corpo dell’art. 3 della legge reg. Lombardia n. 19 del 2007, norma titolata “Valorizzazione dell’autonomia scolastica”. Ma per la Corte, il fatto che la previsione di concorsi per l’assunzione del personale docente sia inserita in tale ambito non muta i termini della questione, perché la valorizzazione dell’autonomia non può spingersi fino al punto di consentire ai singoli istituti scolastici di scegliere il proprio personale docente con concorsi locali. Né diversa può essere la conclusione per il fatto che la legge regionale in esame limita la possibilità di assunzione del personale docente – scelto nell’ambito delle graduatorie provinciali ad esaurimento – ai soli incarichi annuali, avendo come obiettivo quello di favorire la continuità didattica, perché anche il personale docente assunto con contratto a tempo determinato fa ugualmente parte del pubblico impiego.
Quindi, conclude la Corte, “la previsione della possibilità di reclutare tale personale con modalità stabilite da una legge regionale […], oltre ad essere del tutto eccentrica rispetto all’ordinamento nel suo complesso, è in evidente contrasto con il menzionato parametro costituzionale”.