Ammonta a 280 euro la multa inflitta alla professoressa che ha apostrofato un suo alunno come “nullità, handicappato, bugiardo, asino”.
La decisione è contenuta nella sentenza n. 319 del 22/01/2013 della Corte di Cassazione – V sezione penale che, nel confermare la decisione della Corte territoriale, ha ritenuto del tutto inutile il ricorso presentato dalla docente in cui la stessa sosteneva, a sua difesa, che i giudizi espressi nei confronti del ragazzo rientravano “nel legittimo esercizio del diritto di critica”.
Agli epiteti utilizzati dalla professoressa, deve anche aggiungersi un ulteriore commento che le è costato caro, cioè l’aver detto che lo studente “riusciva ad andare avanti soltanto con l’interessamento della madre“.
Secondo la Suprema Corte, se da un lato l’espressione “asino” potrebbe “in linea di principio, riconnettersi ad una manifestazione critica sul rendimento del giovane, con finalità correttive“, dall’altro le frasi aggiuntive rappresentano “espressioni obiettivamente denigratorie e indicative di volontà offensiva in capo a chi ebbe ad usarle“.
“Tanto più – continua la sentenza – se con l’aggiunta che il profitto scolastico del [...] doveva ritenersi ingiustamente condizionato in positivo da chissà quale interessamento della di lui madre“.