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I permessi per motivi di studio devono essere concessi anche ai assunti a tempo determinato, sempre che non vi sia un'obiettiva incompatibilità in relazione alla natura del singolo contratto a termine.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 3871 del 17 febbraio 2011, con la quale richiama il principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo determinato, sancito dall'art. 6 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, in attuazione della direttiva comunitaria 70/1999 relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES.

La fruibilità di permessi retribuiti per motivi di studio, nella misura di 150 ore, deve quindi essere concessa anche ai lavoratori con contratto a termine, a meno che non esistano ragioni oggettive.

L’esclusione dal beneficio non può infatti giustificarsi in ragione della mera apposizione del termine di durata contrattuale, per l'assenza di uno specifico interesse della pubblica amministrazione alla elevazione culturale dei dipendenti, giacché la fruizione dei permessi di studio prescinde dalla sussistenza di un tale interesse in capo al datore di lavoro, pubblico o privato, essendo riconducibile a diritti fondamentali della persona, garantiti dalla Costituzione (art. 2 e 34 Cost.) e dalla Convenzione dei diritti dell'uomo (art. 2 Protocollo addizionale CEDU), e tutelati dalla legge in relazione ai diritti dei lavoratori studenti (art. 10 legge n. 300 del 1970).

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