“A prescindere dalla computabilità o meno di talune assenze ai fini del computo del periodo di comporto, ed a maggior ragione laddove per tale motivo esso non sia stato superato, risulta precluso al datore di lavoro di collocare unilateralmente il dipendente in aspettativa non retribuita, essendo ciò in contrasto sia col principio della immodificabilità unilaterale delle condizioni del contratto di lavoro, con sospensione da parte del datore di lavoro dell'obbligazione retributiva (Cass. 16 aprile 2004 n. 7300), sia, nel caso di specie, con la norma contrattuale collettiva di cui all'art. 18, comma 3, che espressamente prevede che l'aspettativa non retribuita può essere concessa solo su richiesta del lavoratore interessato".
Così ha deciso la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con sentenza n. 9346 del 26 aprile 2011, accogliendo il ricorso di un dipendente di Poste Italiane al quale era stato sospeso lo stipendi in seguito alla notifica del superamento del periodo di comporto.
La Corte ha inoltre precisato che, come già chiarito dalle sezioni unite con sentenza n. 6572 del 24 marzo 2006 e successiva giurisprudenza, il danno patrimoniale patito dal lavoratore non discende in via automatica dall’inadempimento datoriale, ma va provato dal lavoratore, il quale è tenuto a dimostrare, ai sensi dell’art. 1223 c.c., l’esistenza di un nesso di casualità fra l’inadempimento i il danno. E, infine, è tenuto a precisare quali, fra le molteplici forme di danno, ritenga di aver subito, fornendo a tal fine ogni elemento utile per la ricostruzione della loro entità.