Sinergie di Scuola

Una questione molto controversa (l’esatta imputazione delle assenze per visite, terapie, prestazioni specialistiche o esami diagnostici) è stata recentemente oggetto di una importante sentenza del Tar del Lazio (n. 5714, depositata il 17/04/2015), con la quale è stato accolto il ricorso della FLC-CGIL contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, per l’annullamento, previa sospensiva, della tanto contestata circolare n. 2 del DFP del 17/02/2014, rivolta a tutte le pubbliche amministrazioni e inerente all’applicazione dell’art. 55-septies, comma 5-ter, D.Lgs. 165/2001, come introdotto dall’art. 16, comma 9, Legge n. 111/2011 e successivamente modificato dall’art. 4, comma 16-bis, D.L. n. 101/2013, convertito in Legge n. 125/2013. Tale norma prevede ora che «Nel caso in cui l’assenza per malattia abbia luogo per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il permesso è giustificato mediante la presentazione di attestazione, anche in ordine all’orario, rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione o trasmessa da questi ultimi mediante posta elettronica».

Il testo legislativo, nella sua precedente conformazione, prevedeva invece l’espressione «l’assenza è giustificata» in luogo di quella «il permesso è giustificato» e dopo le parole «di attestazione» non prevedeva l’espressione «anche in ordine all’orario».

Sulla scia della novella legislativa, il Dipartimento della Funzione Pubblica aveva emanato la suddetta circolare, nella quale era precisato tra l’altro che, a seguito della sua entrata in vigore, «[...] per l’effettuazione di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il dipendente deve fruire dei permessi per documentati motivi personali, secondo la disciplina dei CCNL, o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore) [...]».

Tale indicazione contenuta nella circolare aveva da subito suscitato perplessità tra i lavoratori, i Sindacati e gli addetti ai lavori (anche noi di Sinergie di Scuola ci siamo più volte occupati della questione).

La FLC-CGIL, al fine di tutelare gli interessi di tutti i lavoratori del comparto statale in relazione a un valore costituzionalmente protetto quale è il diritto alla salute, si è posta la domanda: per l’espletamento delle prestazioni indicate dalla norma è necessario richiedere un “permesso” oppure, previa certificazione medica, un giorno di assenza per motivi di salute, nelle ipotesi di prestazione diagnostica non legata ad uno stato di malattia temporaneamente invalidante?

Guardando al contenuto letterale della circolare, il personale scolastico sarebbe costretto ad utilizzare i tre giorni annui di permessi personali o, per patologie gravi con terapie e trattamenti lunghi, a chiedere giorni di ferie. Cosa impensabile, vista l’esiguità dei giorni di ferie e permessi a disposizione.

Nell’accogliere il ricorso del Sindacato, il Tar Lazio ha motivato la decisione punto per punto.


Perché il termine “permesso” al posto di “assenza”

Innanzitutto il giudice ha precisato che l’utilizzo della parola «permesso», in luogo di «assenza», invece presente nel precedente testo, è stato introdotto per riferirsi a modalità di regolazione della mancata prestazione lavorativa legate agli istituti contrattualmente previsti per giustificare un’assenza diversi dalla malattia intesa come stato patologico in atto.

Quindi, non si tratta di una differenziazione solo linguistica, per evitare una ripetizione dello stesso concetto, ma di una scelta voluta per regolare situazioni di assenza dal lavoro non direttamente collegate ad uno stato patologico acclarato (spesso si erano riscontrate anomalie nel ricorso all’istituto della «assenza per malattia» da parte di pubblici dipendenti in caso di visite specialistiche o di terapie di breve durata).

La norma, infatti, fa riferimento non solo a «terapie» e «prestazioni specialistiche», che potrebbero ben collegarsi a stati patologici, ma anche a generiche «visite» ed «esami diagnostici», che potrebbero non essere collegati a stati di malattia; infatti, una persona può sottoporsi a indagini diagnostiche per mero fine esplorativo nonché a visita medica a mero scopo  preventivo e/o di controllo di uno stato di buona salute.

Ciò non toglie, comunque, che in caso di effettiva patologia e in ogni altro caso in cui il medico curante, a sua discrezionale valutazione tecnica, ritenga una (sia pure temporanea) inabilità al lavoro del dipendente, l’assenza è giustificata a titolo di malattia con la produzione della relativa attestazione e tale circostanza si manifesta certamente ogni qual volta il dipendente debba effettuare esami diagnostici, terapie, visite e il medico curante ritenga sussistente uno stato patologico o gli esami e le terapie abbiano essi stessi carattere invalidante.

Quindi, secondo il Tar del Lazio, la volontà del legislatore nell’utilizzare la parola «permesso» in luogo di «assenza» non può che essere ricondotta all’istituto giuridico rappresentato dai «permessi» e non all’istituto dell’assenza per malattia, in quanto la necessità di sottoporsi ad una visita o ad un controllo medico non necessariamente presuppone la presenza di una patologia in atto e quindi di una certificazione medica che la attesti.

I permessi nel CCNL Scuola

A questo punto, però, il Tar fa una precisazione: «non può ritenersi, come invece desumibile dalla circolare impugnata,  che il riferimento ai “permessi” debba essere inserito “sic et  impliciter” nell’ambito della normativa contrattale collettiva vigente, senza alcuna modifica e/o integrazione».

Ciò vuol dire che un’interpretazione della norma non può essere quella proposta con la circolare impugnata, che  direttamente ritiene di richiamare i permessi per «documentati motivi personali secondo la disciplina dei CCNL o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore)».

Questo perché tali permessi, e la relativa contrattazione di comparto, erano stati individuati nella vigenza della normativa precedente, che non faceva distinzione sull’assenza per malattia, e riguardavano la necessità di assentarsi dal lavoro per le ragioni più varie ma non anche per le assenze per terapie e simili di cui all’art. 55-septies, allora vigente.


L’obbligo di utilizzare tali permessi per queste tipologie di assenza comporta, indubbiamente, uno sconvolgimento nell’organizzazione di lavoro e personale del dipendente che potrebbe, ad esempio, già aver già usufruito di tali forme di giustificazione di assenza, confidando di poter avvalersi dell’ulteriore modalità di «assenza per malattia» prima prevista dalla conformazione della richiamata norma e del CCNL applicabile o, viceversa, non potrebbe più avvalersi di tali «permessi per documentati motivi personali» diversi dallo svolgimento di terapie, visite e quant’altro.

Quindi, per il Giudice la novella legislativa in esame non può avere un carattere immediatamente precettivo ma deve comportare, per la sua applicazione anche mediante atti generali quali circolari o direttive, una più ampia revisione della disciplina contrattuale di riferimento.

Tale conclusione è, tra l’altro, già contemplata nella “Ipotesi di atto di indirizzo quadro all’ARAN per la sottoscrizione di un CCNQ in materia di rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti”, trasmessa dalla Funzione Pubblica. In tale documento è evidenziata proprio la problematica relativa alla novella dell’art. 55-septies, comma 5-ter, laddove si sottolinea che «Le assenze dal servizio per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici richiedono una specifica disciplina contrattuale, con carattere di omogeneità per tutti i comparti e le aree di contrattazione» e che «Tali assenze presentano la caratteristica di non essere assimilabili in tutto all’assenza per malattia, in quanto manca il presupposto della patologia in atto e di essere entro certi limiti giustificabili per la particolare causa, consistente nella esigenza di cura o di prevenzione».

La circolare è illegittima

Il Tar ha quindi concluso che la circolare impugnata, operando direttamente nei confronti delle Amministrazioni pubbliche, è illegittima, in quanto la materia oggetto della novella trova il suo naturale elemento di attuazione nella disciplina contrattuale da rivisitare e non in atti generali che impongono modifiche unilaterali in riferimento a CCNL già sottoscritti.

Il ricorso della FLC-CGIL viene accolto, con conseguente annullamento della circolare impugnata, laddove impone alle amministrazioni pubbliche di avvalersi, ai sensi dell’art. 55-septies, comma 5-ter, D.Lgs. 165/2001 nella nuova formulazione, dei permessi per documentati motivi personali, secondo la disciplina dei CCNL o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore).

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