La gestione delle assenze per malattia presenta casistiche svariate, che pongono interrogativi diversi per gli uffici del personale e coinvolgono sovente sia le aule dei tribunali che le amministrazioni di vertice, intervenute – specie in passato – in sede di interpretazione e chiarimento.
Per inciso, deve notarsi come il Dipartimento Funzione Pubblica sia silente nella sua attività di indirizzo tramite circolari e direttive, che non intervengono già da parecchi mesi. Di contro, vasto è il contenzioso che si produce sulle questioni disciplinari, in maggioranza (come intuibile) nei confronti dei provvedimenti più gravi, ovvero le sanzioni espulsive.
Può essere utile quindi seguire l’andamento della giurisprudenza sul punto, in particolare quello della Corte di Cassazione che, pur non avendo come noto forza imperativa, costituisce una fonte interpretativa sicuramente privilegiata, tanto da agevolare in alcune questioni pratiche.
Analizziamo di seguito alcune tipologie di interesse oggetto di decisione negli ultimi mesi.
Mancato invio della certificazione medica
Con la sentenza 18858/2016 la Corte di Cassazione dispone importanti principi in materia di certificazione medica, obblighi del lavoratore e sanzioni disciplinari.
In relazione al caso di una dipendente pubblica sottoposta alla sanzione del licenziamento per difetto di comunicazione della certificazione di malattia, la quale riteneva, in giudizio, bastevole la visita e la relativa prognosi del medico fiscale, la Cassazione ha ribadito che la disciplina vigente (art. 55-septies del D.Lgs. 165/2001) pone in capo al lavoratore sia l’obbligo di rivolgersi a struttura pubblica o convenzionata certificante per giustificare la malattia, sia quello di accertarsi della regolarità e invio della certificazione all’amministrazione.
Per la Cassazione «Non è sufficiente che il lavoratore informi il datore di lavoro dell’assenza per malattia [...] ma [...] deve attivare, rivolgendosi per l’accertamento del proprio stato di salute/malattia ad una struttura sanitaria pubblica o ad un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, il procedimento di cui all’articolo 55-septies, commi 1 e 2, che si conclude con l’inoltro (e la ricezione) della certificazione medica al datore di lavoro da parte dell’INPS».
Per la Suprema Corte quindi la certificazione del medico fiscale non è alternativa a quella del medico curante, non essendo la prima, peraltro, nemmeno sempre obbligatoria. Con la medesima pronuncia, tuttavia, la Corte “apre” ai diritti del lavoratore con un importante principio, attestando che deve valutarsi caso per caso la proporzionalità della sanzione, escludendosi qualsivoglia automatismo nella irrogazione del provvedimento disciplinare. Viene così ribadito il principio per cui: «la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare; quale evento “che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma (Cass. n. 6498 del 2012)». A seguito di tale assunto la Corte ha disposto il rinvio alla giurisdizione competente per il riesame della questione, non avendo la stessa adeguatamente valutato la questione con la dovuta valorizzazione di ogni elemento.
Verifica dell’invio del certificato di malattia
Sempre nel 2016, la Corte di Cassazione ha rammentato un obbligo a carico del lavoratore che deve essere sempre tenuto presente, e che coinvolge anche la gestione del personale in un’ottica di auspicabile collaborazione.
Con la sentenza n. 15226, infatti, intervenuta a seguito di ricorso avverso un licenziamento disciplinare di una dipendente privata, la Corte ha ritenuto che sia onere del lavoratore non solamente fruire dell’assenza per malattia con giusta causa, ma anche comunicare, nel modo previsto ed appropriato, l’assenza al datore di lavoro; nel caso di specie vi era contrasto tra quanto asserito dalla dipendente (cioè aver richiesto certificazione giustificatrice al medico curante) e quanto affermato dal datore di lavoro, che sosteneva di non aver mai ricevuto la certificazione telematica. In tal proposito, la Corte osserva che l’introduzione della certificazione telematica esonera il lavoratore dalla presentazione di quella cartacea, ma non dall’onere di verificare l’effettivo invio della stessa da parte del curante, anche richiedendo il numero di protocollo della trasmissione.
La circolare n. 4/2011 dell’allora Ministero Lavoro e Politiche sociali, di concerto con il Dipartimento Funzione pubblica, del resto prevede espressamente che il lavoratore richieda il numero di protocollo del certificato inviato telematicamente, potendo richiedere anche l’invio dello stesso sulla propria casella di posta elettronica ai fini di maggiore controllo e sicurezza.
È auspicabile quindi che i lavoratori, con queste forme e tramite verifica presso gli uffici del personale, si accertino degli avvenuti invio/ricezione, e che il datore di lavoro provveda, in ottica collaborativa, ad informare immantinente il lavoratore qualora, a seguito dell’avvenuta comunicazione informale dell’assenza, non consegua la tempestiva ricezione del certificato medico telematico.
Allontanamento dal domicilio in fasce di reperibilità
Con la sentenza 20210/2016 la Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso di una società contro la decisione della Corte d’Appello, che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento comminato ad un dipendente il quale, alla fine di un periodo di malattia (in cui era sempre stato trovato regolarmente al domicilio dalle visite fiscali effettuate), solo negli ultimi giorni, a seguito di indagini investigative, era stato sorpreso a svolgere commissioni fuori casa con l’utilizzo anche del motociclo.
La Cassazione, affermando che la gravosità dell’impegno lavorativo non è comparabile alla ripresa dell’attività privata, svolta anche fuori casa, contesta, in linea con la Corte territoriale, l’assunto del datore di lavoro di “simulazione” dello stato di malattia; tanto più che il datore di lavoro non era stato in grado di provare che la condotta tenuta dal lavoratore potesse in qualche modo pregiudicare la ripresa lavorativa.
Ancora, la Corte ribadisce che non è richiesto al lavoratore di limitare la sua attività privata anche al di fuori delle fasce orarie di reperibilità: non avrebbe senso, altrimenti, l’obbligo del rispetto delle stesse. Anzi, da tener in debito conto sono le esigenze di libertà del lavoratore.
In generale, viene ribadito il principio per cui la massima sanzione espulsiva deve irrogarsi solo avendo riguardo al caso concreto e al principio di proporzionalità.
Allontanamento dal luogo di lavoro senza timbratura
La Cassazione, con la sentenza n. 24574/2016, si pronuncia sul caso di un dipendente pubblico licenziato per aver falsamente attestato la propria presenza in servizio; nello specifico, lo stesso si era allontanato dal luogo del lavoro, senza timbrare, per risolvere rivendicate questioni di salute.
Ebbene, la Corte, dopo aver ricostruito la situazione del rapporto tra fonti legislative e fonti negoziali (ovvero contrattuali) in tema di licenziamento disciplinare (ribadendo la preminenza delle disposizioni legislative disposte con la normativa di riforma del 2009, che prevede fattispecie tipiche di licenziamento), giunge a ritenere legittimo il provvedimento.
La contestata sanzione, disposta per falsa attestazione della presenza in servizio, ai sensi dell’art. 55-quater lettera a (come introdotto dal D.Lgs. 150/2009), viene infatti ribadita anche dalla Corte di Cassazione, poiché la falsa attestazione risulterebbe in re ipsa dall’aver indotto l’Amministrazione a ritenere sul luogo di lavoro un dipendente che, viceversa e senza attestarlo con i mezzi consueti, se ne era allontanato; a nulla rileverebbe la necessità di assumere farmaci fuori dall’ufficio (giustificazione addotta nel caso di specie), in quanto, anche sussistendo tale motivo, non vi sarebbe comunque alcuna giustificazione per la mancata timbratura anche in entrata.