La questione della pubblicazione obbligatoria dei dati dei dirigenti nell’ambito delle modifiche al Decreto Trasparenza aveva interessato concretamente il mondo della scuola; come si ricorderà, numerosi erano stati gli interventi e le polemiche, e in sede sindacale era stato richiesto con forza di non onerare i dirigenti di un ulteriore, peraltro pervasivo, obbligo.
Facciamo un necessario passo indietro.
L’art. 14, comma 1-bis del D.Lgs. 33/2013, inserito dal D.Lgs. 97/2016, espressamente prevede che «Le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui al comma 1 per i titolari di incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo comunque denominati, salvo che siano attribuiti a titolo gratuito, e per i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione».
Gli obblighi di pubblicazione originariamente previsti per gli incaricati di tipo politico sono stati così estesi anche ai dirigenti, compresi, originariamente, quelli scolastici, e riguardano molteplici dati contenuti nel comma 1, come atti di nomina, curricula, compensi, ma anche dati ben più sensibili, come quelli previsti al comma 1 lett. f, cioè:
le dichiarazioni di cui all’articolo 2, della legge 5 luglio 1982, n. 441, nonché le attestazioni e dichiarazioni di cui agli articoli 3 e 4 della medesima legge, come modificata dal presente decreto, limitatamente al soggetto, al coniuge non separato e ai parenti entro il secondo grado, ove gli stessi vi consentano. Viene in ogni caso data evidenza al mancato consenso. Alle informazioni di cui alla presente lettera concernenti soggetti diversi dal titolare dell’organo di indirizzo politico non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 7.
L’interpretazione dell’ANAC
L’ANAC, a seguito delle molte sollecitazioni sopra accennate, con la Determinazione n. 241 dell’8/03/2017 (Linee guida recanti indicazioni sull’attuazione dell’art. 14 del D.Lgs. 33/2013 “Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali” come modificato dall’art. 13 del D.Lgs. 97/2016), ritenne di operare un adeguamento degli obblighi di trasparenza previsti dall’art. 14; effettuando una interpretazione restrittiva della norma, chiarì che «Anche le osservazioni ricevute nel corso della consultazione hanno evidenziato la peculiarità della natura e delle funzioni svolte nonché le ridotte dimensioni che caratterizzano le istituzioni scolastiche e che le distinguono dalle altre amministrazioni pubbliche ricomprese nell’art. 1, co. 2, del D.Lgs. 165/2001.Pertanto, in un’ottica di semplificazione, per i Dirigenti scolastici le misure di trasparenza di cui all’art. 14 si intendono assolte con la pubblicazione dei dati indicati al co. 1, lett. da a) ad e), con esclusione dei dati di cui alla lettera f)».
Per i Dirigenti scolastici sono quindi rimasti obbligatoriamente da pubblicare i seguenti dati:
- l’atto di nomina o di proclamazione, con l’indicazione della durata dell’incarico o del mandato elettivo;
- il curriculum;
- i compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica;
- gli importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici;
- i dati relativi all’assunzione di altre cariche, presso enti pubblici o privati, e i relativi compensi a qualsiasi titolo corrisposti;
- gli altri eventuali incarichi con oneri a carico della finanza pubblica e l’indicazione dei compensi spettanti.
Successivamente, a seguito di interventi del TAR Lazio, tra cui la remissione della questione al giudice costituzionale, l’ANAC, con il comunicato del 7/03/2018, è ulteriormente intervenuta sul punto, e per evitare disparità tra amministrazioni sull’interpretazione ha ritenuto di sospendere l’efficacia della citata Determinazione n. 241 dell’8/03/2017, relativamente alla questione della pubblicazione dei dati di cui all’art. 14, comma 1-ter ultimo periodo, in attesa di una definizione legislativa o giurisprudenziale della questione.
La definizione è giunta con la sentenza abrogativa della Corte Costituzionale di qualche settimana fa.
La sentenza della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, con ovvia maggiore autorevolezza, è intervenuta recentemente a chiarire la portata dell’obbligo in relazione a tutti i dirigenti, non solo quelli scolastici.
La Consulta, con sentenza 23/01–21/02/2019 n. 20 (in G.U. 27/02/2019 n. 9), ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 [...] nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui all’art. 14, comma 1, lettera f), dello stesso decreto legislativo anche per tutti i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione, anziché solo per i titolari degli incarichi dirigenziali previsti dall’art. 19, commi 3 e 4, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche)».
Con la sentenza in oggetto, intervenuta a seguito della questione di legittimità costituzionale posta dal TAR Lazio, la Corte Costituzionale affronta la questione rilevando come la stessa abbracci anche principi di diritto comunitario, poiché opera su un terreno ove coesistono «diritti e principi fondamentali, contemporaneamente tutelati sia dalla Costituzione che dal diritto europeo, primario e derivato, dovendo contemperarsi quindi il diritto alla riservatezza dei dati personali con il rispetto, ugualmente rilevante, dei principi di pubblicità e trasparenza», diritti e principi che si correlano soprattutto nello scenario digitale, come rinnovato negli ultimi anni.
La norma censurata sarebbe in contrasto soprattutto, per il giudice rimettente, con principi costituzionali quali il diritto all’uguaglianza e alla ragionevolezza di cui all’art. 3; per verificare il contrasto ci si avvale, ricorda la Corte, del cosiddetto “test di proporzionalità”, a proposito del quale, proprio la Corte di Giustizia Europea ha più volte affermato come le esigenze di controllo democratico (garantite dalla pubblicazione dei dati) non possono travolgere il diritto alla riservatezza delle persone fisiche, dovendo rispettarsi sempre proprio il principio di proporzionalità.
Rileggendo l’evoluzione normativa, che ha riguardato l’affermazione dell’accesso ai documenti amministrativi prima e del principio di trasparenza poi, la Corte giustifica la prima versione della parte censurata dell’art. 14 del Decreto Trasparenza, che prevedeva obblighi di pubblicazione ulteriori per titolari di incarichi politici, con la motivazione che gli stessi sono insigniti del consenso popolare, quindi giustamente soggetti a controlli più penetranti.
Non ritenendo fondata la questione della legittimità della pubblicazione relativamente ai compensi, la Corte, viceversa, ritiene censurabile la parte relativa alla pubblicazione dei dati di cui al punto f sopra visto, poiché tali dati non sono strettamente connessi con l’espletamento dell’incarico; tale disposizione viene ritenuta sproporzionata, e in violazione dell’art. 3 sotto il profilo della ragionevolezza, poiché indiscriminata, con il rischio di creare una «opacità per confusione» lesiva anche del diritto di trasparenza, considerata la mole smisurata di dati da pubblicare, senza distinguere tra le varie figure dirigenziali.
Tuttavia, ad opinione della Corte, l’illegittimità è solo parziale, poiché permangono «esigenze di trasparenza e pubblicità che possono non irragionevolmente rivolgersi nei confronti di soggetti cui siano attribuiti ruoli dirigenziali di particolare importanza».
La Corte sollecita il legislatore ad effettuare le opportune differenziazioni, ritenendo temporaneamente utile, sul punto, l’art. 19 del D.Lgs.165/2001 commi 3 e 4; si individuano quindi nei Segretari generali dei Ministeri e nei titolari di funzioni dirigenziali di livello generale le figure strettamente collegate agli organi di decisione politica, che permangono quindi assoggettate all’obbligo di pubblicazione in senso esteso.