In questi giorni si è parlato lungamente del cosiddetto “decreto 80 euro”, e i media nazionali si sono prodigati a elaborare tabelle esplicative e ipotesi di impatto sui salari dei dipendenti.
Trattandosi di misura importante e innovativa, molti sono stati anche i dubbi sul provvedimento, riguardanti la copertura finanziaria.
Molte meno voci si sono sollevate a proposito dell’equità della misura, che rapportando il beneficio allo stipendio lordo rischierebbe di escludere dagli aumenti in busta paga ad esempio chi ha lavorato di più per straordinario, chi lavora a tempo pieno invece che ad orario ridotto, e tanti altri casi di maggiore percezione del salario accessorio.
A proposito di quest’ultimo, non ha trovato uguale riscontro, negli organi di informazione, l’approvazione di un’ulteriore misura che penalizza gravemente – ancora una volta - una parte dei lavoratori dipendenti, ovvero quelli pubblici.
Il DPCM del 19 febbraio 2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 aprile, reca "Modalità di attuazione delle misure sperimentali per l'incremento della produttività del lavoro nel periodo 1º gennaio - 31 dicembre 2014".
Il decreto proroga una agevolazione già in vigore da qualche anno e specificata nel DPCM del 22 gennaio 2013.
Trattasi, in parole povere, della detassazione del salario accessorio (straordinari, lavoro notturno, premi di produttività...) a favore dei lavoratori con reddito lordo inferiore a 40.000 euro.
Questa misura consente ai lavoratori di ottenere degli indubbi vantaggi nella busta paga.
Come spiega questa scheda della CGIL di qualche tempo fa, la detassazione “è un'imposta sostitutiva che si applica esclusivamente alle componenti accessorie della retribuzione legate ad incrementi di produttività. Su straordinari, premi di risultato, lavoro su turni, lavoro notturno – ma sono solo di alcuni esempi – il lavoratore non paga più l'aliquota fiscale più alta, bensì un'aliquota unica del 10%”.
Nella medesima scheda si spiega come le misure possono comportare benefici al di sopra dei 1.000 euro annuali, quindi più consistenti di quelli di cui si parla tanto in questi giorni, anche perché destinati ad una platea ben più vasta dei percettori di 24.000 euro all’anno; infatti, la detassazione si riferisce ai lavoratori compresi entro i 40.000 euro di reddito.
Ebbene, nonostante qualche polemica sindacale degli ultimi anni, ancora una volta il decreto pubblicato a fine aprile esclude espressamente i dipendenti pubblici dal beneficio, impedendo di percepire in busta paga quanto gli altri lavoratori dipendenti introitano grazie a questa agevolazione.
I lavoratori pubblici continuano ad avere non solo stipendi bloccati da anni, ma a pagare più tasse di tutti gli altri cittadini, anche degli altri lavoratori dipendenti.
Solo che il motivo di questa ennesima discriminazione non è nemmeno spiegato con l’esigenza di contenimento della spesa: non è proprio spiegato, a dire il vero, né se ne parla, e sfugge, per questa ragione, ancora di più.