Il T.U. maternità e paternità ha subito recentemente alcune modifiche, una delle quali riguardanti il periodo di preavviso necessario per avanzare richiesta di fruizione, da parte della madre o del padre lavoratore dipendente, del congedo parentale (ex astensione facoltativa).
In particolare, l’art. 7, comma 1, lett. c), D. Lgs. n. 80/2015, nel riformulare il disposto di cui all’art. 32, comma 3, D.Lgs. 151/2001, sancisce che ai fini dell’esercizio del diritto, dal 25 maggio 2015, “il genitore è tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore di lavoro secondo le modalità e i criteri definiti dai contratti collettivi e, comunque, con un termine di preavviso non inferiore a cinque giorni indicando l'inizio e la fine del periodo di congedo”.
In pratica, si passa dai 15 giorni previsti dalla precedente normativa, ai 5 giorni di preavviso della nuova formulazione dell'articolo.
Ma come comportarsi se i CCNL, formatisi nella vigenza della precedente disciplina normativa, riportano un termine differente? Le previsioni contenute nella contrattazione collettiva possono continuare a ritenersi operative anche con rifermento al periodo di preavviso previgente? E, inoltre, può il datore di lavoro, anche in presenza di una richiesta del lavoratore nel rispetto del termine minimo di preavviso, disporre una diversa collocazione temporale di fruizione del congedo in ragione di comprovate esigenze di funzionalità organizzativa?
A queste domande ha risposto (in maniera a dir poco fantasiosa) il Ministero del Lavoro, con interpello n. 13/2016, il quale ha in sostanza stabilito che prevale il CCNL rispetto alla normativa.
Infatti, si legge nel parere: "in considerazione del fatto che l’operatività delle misure introdotte nei termini previsti dal Decreto n. 80/2015 resta condizionata alla verifica, effettuata in sede di monitoraggio periodico, circa la loro perdurante compatibilità finanziaria e tenuto altresì conto del fatto che il Legislatore del 2015 ribadisce, in continuità con la formulazione precedente dell’art. 32, comma 3, D.Lgs. 151/2001, la validità del rinvio alla contrattazione collettiva per la disciplina dell’istituto, si può ritenere che le clausole della contrattazione collettiva già vigenti alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 80/2015 continuano ad essere efficaci anche in relazione alla individuazione dei termini di preavviso nella stessa previsti.
In particolare, deve ritenersi che i termini di preavviso minimi restino fissati in 15 giorni tutte le volte in cui la contrattazione collettiva abbia richiamato, ai fini della loro individuazione, il termine minimo previsto dalla normativa vigente al momento della definizione degli accordi".
Come sappiamo, il CCNL Scuola, all'art. 12, comma 7, dispone che "La domanda può essere inviata anche per mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento purché sia assicurato comunque il rispetto del termine minimo di quindici giorni. Tale disciplina trova applicazione anche nel caso di proroga dell'originario periodo di astensione".
Quindi, secondo l'interpretazione del Ministero del Lavoro, per il solo fatto che nel CCNL sia riportato un preciso termine minimo, si dovrà prendere a riferimento questo, anziché quello previsto da una norma più recente. In pratica, un CCNL bloccato da anni e non adeguato alle più recenti modifiche normative dovrebbe prevalere sulle disposizioni contenute nel Testo Unico!
Leggendo più attentamente la norma, c'è inoltre da rilevare che è vero che la nuova formulazione dell’art. 32, comma 3, del D.Lgs. 151/2001 rimanda alle "modalità e i criteri definiti dai contratti collettivi", ma la stessa norma prevede che comunque il termine di preavviso non debba essere inferiore a cinque giorni.
Quindi, il parere espresso dal Ministero del lavoro contrasta evidentemente con la legge, che è inequivoca e ha ridotto per tutti i lavoratori, pubblici e privati, il termine minimo di preavviso.
Per quanto concerne il secondo quesito, riguardante la possibile collocazione temporale alternativa del congedo da parte del datore di lavoro, il Ministero richiama la giurisprudenza di legittimità, che qualifica il diritto alla fruizione del congedo in termini di diritto potestativo, in relazione al quale vige l’unico onere del rispetto del preavviso.
Resta comunque ferma la possibilità (non obbligo) – così come rappresentato con risposte ad interpello n. 31/2010 e n. 1/2012 in relazione ai permessi ex L. n. 104/1992 – di disciplinare la fruizione dei congedi attraverso accordi da prendere anche a cadenza mensile con i richiedenti o con le loro rappresentanze aziendali, volti a contemperare la necessità di buon andamento dell’attività imprenditoriale con il diritto alla cura della famiglia.