Si è parlato a lungo, in ogni sede, istituzionale e non, del rientro in presenza degli istituti superiori.
La scuola non è mai stata così al centro del dibattito politico e sociale, come in quest’ultimo anno.
E per quanto questo abbia costretto l’Italia a pensare e ad investire di più sull’istruzione, d’altro canto ha portato la scuola su un terreno di scontro tra le varie forze politiche, con i risultati che tutti ben vediamo.
La data proposta dal Governo per riportare in classe i ragazzi del secondo ciclo, anche se solo al 50%, è slittata dal 7 gennaio all’11. Ma sono molte le Regioni che comunque hanno optato per una proroga ulteriore, addirittura al 1° febbraio, come Veneto, Friuli Venezia Giulia e Marche.
L’opinione pubblica è spaccata tra chi vuole riportare subito a scuola gli studenti e chi invece chiede la prosecuzione della DaD fino al termine dell’emergenza sanitaria. La stessa categoria dei docenti è divisa tra coloro che vorrebbero tornare in aula al più presto e chi ha paura, perché non ritiene ad oggi le classi sufficientemente sicure.
Anche tra gli esperti c’è chi non considera le scuole responsabili della seconda ondata e chi invece è più cauto e preferisce non esporsi.
A questo si aggiunga la campagna vaccinale appena iniziata, che non prevede, tra le categorie più a rischio, i docenti e il personale scolastico. Anche rispetto a questo c’è da dire che, secondo recenti sondaggi, gli insegnanti non sarebbero poi così disposti a sottoporsi al vaccino.
Insomma, trovare la quadra in questa situazione non è affatto facile.
Quello che è certo è che una parte della popolazione italiana, gli adolescenti, risulta molto sacrificata. Il diritto alla salute in questo momento prevale sul diritto all’istruzione, per quanto garantito dalla DaD.
In merito, si stanno già vedendo i primi effetti, in termini non solo didattici, ma anche di aumento dell’abbandono scolastico e di patologie depressive nei ragazzi.
C’è da chiedersi dunque: il gioco vale la candela?