Il 7 luglio, a Palazzo Montecitorio, il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, ha presentato presenta il “Rapporto Annuale 2023. La situazione del Paese”.
Il Rapporto focalizza l’attenzione sulle potenzialità e le capacità di ripresa e di riprogettazione del Paese, alla luce delle opportunità offerte dal PNRR e sottolinea le esigenze di integrare gli obiettivi delle politiche secondo quanto definito a livello europeo e nazionale e di valorizzare il ruolo centrale dei giovani, del sistema produttivo e della società civile come protagonisti attivi del cambiamento.
Riportiamo di seguito alcuni dati riguardanti il settore Istruzione:
- Il PNRR individua nella riduzione del divario intergenerazionale una delle priorità trasversali e prevede investimenti volti a migliorare i livelli e la qualità dell’occupazione giovanile, la riduzione della dispersione scolastica e il miglioramento dei livelli di competenze. In questo quadro, due interventi sono particolarmente rilevanti per risorse stanziate: il Piano asili nido e scuole dell’infanzia e i servizi di educazione e cura per la prima infanzia (4,6 miliardi di euro), e il Piano di messa in sicurezza e riqualificazione dell’edilizia scolastica (3,9 miliardi di euro).
- Nel 2021, in Italia la copertura dei posti disponibili per la prima infanzia rispetto ai bambini residenti è del 28 per cento, quando il target europeo per il 2030 è del 50 per cento. Quasi il 5 per cento dei bambini italiani sotto i tre anni frequentano la scuola di infanzia come anticipatari, anche se non si prevedono adattamenti del servizio alle esigenze specifiche dei bambini di 2 anni, a causa della maggiore accessibilità di queste scuole, per la maggiore diffusione sul territorio e i costi molto più contenuti rispetto agli asili nido.
- Sul versante dell’edilizia scolastica, la maggior parte degli edifici scolastici statali non dispone di tutte le attestazioni relative ai requisiti di sicurezza: le certificazioni sono detenute da poco meno del 40 per cento dei casi. Riguardo alla raggiungibilità con il trasporto pubblico, si osserva uno svantaggio significativo per il Mezzogiorno: il 14,8 per cento degli edifici considerati risulta poco raggiungibile, sia con scuolabus sia con i collegamenti pubblici (7,8 per cento nel Centro e 5,7 per cento nel Nord). Poco più di un terzo degli edifici scolastici, statali e non, è privo di barriere fisiche e, quindi, accessibile agli alunni con disabilità, con una forbice di quasi 8 punti tra le regioni del Nord e quelle del Mezzogiorno, a sfavore di quest’ultimo. Solo il 16 per cento delle scuole dispone di “segnalazioni visive” per studenti con sordità o ipoacusia, mentre le “mappe a rilievo e i percorsi tattili”, necessari a rendere gli spazi accessibili agli alunni con cecità o ipovisione, sono presenti solo nell’1,5 per cento delle scuole.
- Se si considera la modificazione della popolazione tra 0 e 24 anni e il suo impatto sul sistema dell’istruzione, nel 2041 si prevede una riduzione del 5,3 per cento per i bambini tra 0 e 5 anni, una di oltre il 25 per cento per i giovani tra 11 e 18 anni (in istruzione secondaria), e una di poco inferiore al 20 per cento per le fasce di età corrispondenti all’istruzione elementare (6-10 anni) e universitaria (19-24 anni). Per la classe 25-69 anni, che costituisce la popolazione in età di lavoro, considerando anche la tendenza all’innalzamento dell’età pensionabile, la riduzione sarà del 12,3 per cento.
- L’istruzione ha un ruolo particolarmente importante nel favorire l’occupazione femminile: il tasso di occupazione delle laureate di età 25-64 anni è più del doppio di quello delle donne con al massimo la licenza media (80,2 per cento contro 36,3 per cento). L’investimento in istruzione, inoltre, riduce anche i divari territoriali: l’ampio divario tra il tasso di occupazione delle persone di età 25-64 anni a sfavore del Mezzogiorno rispetto al Nord (-22,7 punti) si assottiglia in modo rilevante tra i laureati (-12,6 punti). Nel Mezzogiorno, per l’occupazione delle donne il titolo di studio conseguito è ancor più determinante: la quota di 25-64enni che lavorano raggiunge il 70,3 per cento tra le laureate mentre si ferma al 20,7 per cento tra le donne con basso titolo di studio. Anche in questo caso, l’ampio divario Nord-Sud (-28,7 punti percentuali) diminuisce per le laureate (-14,7 punti percentuali).
- L’istruzione rimane una delle principali soluzioni per incrementare la partecipazione al mercato del lavoro e ridurre i divari di genere nell’occupazione. Le donne in Italia sono mediamente più istruite degli uomini e si contraddistinguono inoltre per un minor tasso di abbandono scolastico. Il 60,3 per cento degli uomini tra i 25 e i 64 anni è in possesso di un titolo secondario superiore (il 65,7 per cento tra le donne) e solo il 17,1 per cento ha raggiunto un titolo terziario (contro il 23,5 tra le donne). Nel 2022, l’abbandono scolastico tra i 18 e i 24 anni è del 13,6 per cento per i ragazzi (era oltre il 20 per cento nel 2012) e del 9,1 per cento (dal 14,3 per cento) per le ragazze, con una differenza, rispettivamente, di +2,5 e +1,1 punti rispetto ai valori medi Ue27.
- Il fenomeno dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, colpisce maggiormente le ragazze (20,5 per cento) rispetto ai coetanei maschi (17,7 per cento), la fascia di età tra i 25 e i 29 anni (un giovane su quattro è Neet), i residenti nelle regioni del Mezzogiorno (27,9 per cento), e gli stranieri. Questi ultimi presentano un tasso (28,8 per cento) superiore a quello degli italiani 15-29enni di quasi 11 punti percentuali, e questa distanza raddoppia nel caso delle ragazze (37,9 contro 18,5 per cento).
- Gli effetti negativi prodotti sulla forza lavoro dalla marcata riduzione attesa della popolazione residente in età di studio e di lavoro nei prossimi 20 anni potranno essere mitigati da un aumento dei tassi di partecipazione all’istruzione e al mercato del lavoro, ma anche e soprattutto da un incremento della qualità dell’istruzione e della formazione e dal suo orientamento verso i fabbisogni di competenze della società e del sistema produttivo, elementi essenziali per migliorare la qualità e di conseguenza la produttività del capitale umano.
- Le analisi condotte mostrano che un titolo di studio più elevato offre migliori opportunità di occupazione e un più elevato reddito da lavoro. Rispetto agli individui con al più la licenza media nella classe di età tra i 25 e i 64 anni, il tasso di occupazione dei laureati è di 30 punti superiore. Questa differenza arriva a 35 punti nel Mezzogiorno e a 44 tra le donne. Inoltre, i laureati percepiscono in media un reddito netto pari a circa 2,5 volte quello dei lavoratori con al più la licenza media (2,8 volte nell’Ue27).
- Nonostante negli ultimi dieci anni sia cresciuta di 6 punti percentuali la quota di giovani tra 25 e 34 anni che hanno conseguito almeno un titolo di studio secondario superiore, raggiungendo il 78 per cento nel 2022, essa rimane però ancora di 7,4 punti sotto la media europea (se si considera la classe 25-64 anni, il distacco arriva a 16,5 punti). Nell’ultimo decennio, la quota di giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni che ha abbandonato precocemente gli studi rimane rilevante (11,5 per cento nel 2022), ma il distacco dalla media Ue27 si è ridotto notevolmente (da 4,7 punti percentuali a soli 1,9). Quasi uno su 10 giovani con il diploma secondario superiore ha competenze in italiano e matematica inferiori a quelle degli studenti del secondo anno dello stesso ciclo. Rispetto alla differenza tra competenze e conoscenze attese e quelle effettivamente conseguite (dispersione implicita), si confermano le differenze di apprendimento per genere (per le ragazze è inferiore di 4,6 punti rispetto ai ragazzi) e, soprattutto, territoriali: nel Mezzogiorno la quota di dispersione implicita sfiora il 20 per cento in Campania, mentre è inferiore al 2 per cento in Trentino-Alto Adige/Südtirol.
- La prospettiva demografica di medio lungo periodo si caratterizza per una scarsa disponibilità di risorse umane nella fascia più giovane della popolazione e rende ancora più gravi gli attuali problemi di sottoutilizzo del capitale umano con particolare riguardo all’emigrazione di giovani laureati e ai Neet. La valorizzazione dei giovani in termini di competenze e conoscenze sarà quindi essenziale per invertire questa tendenza e consentire al nostro Paese sia di fronteggiare le sfide poste dalla transizione ecologica e digitale, sia di attivare processi di innovazione nella Pubblica Amministrazione e nelle piccole e medie imprese.