Con ordinanza n. 5134 del 3/09/2018, la sezione VI del Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità sul concorso riservato ai docenti in possesso di abilitazione bandito dal Ministro Fedeli.
In proposito, riportiamo il comunicato pubblicato dal CdS:
"E’ rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 51 e 97, ultimo comma, Cost., la questione di legittimità costituzionale del comma 2, lett. b), e del comma 3 dell’art. 17, D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 59, nella parte in cui prevedono un concorso per l’accesso ai ruoli dei docenti della scuola secondaria riservato, ai sensi del comma 3 citato, alle sole categorie dei docenti in possesso, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo citato, del titolo abilitante all'insegnamento nella scuola secondaria o di specializzazione di sostegno per i medesimi gradi di istruzione, degli insegnanti tecnico-pratici iscritti nelle graduatorie ad esaurimento oppure nella seconda fascia di quelle di istituto sempre alla data di entrata in vigore del decreto legislativo citato, nonché dei docenti che conseguono il titolo di specializzazione per il sostegno entro il 30 giugno 2018, nell'ambito di procedure avviate entro la data di entrata in vigore del decreto legislativo stesso".
Ha chiarito la Sezione che la procedura di cui alle norme in esame rappresenta all’evidenza un’eccezione alla regola del pubblico concorso - perché è aperta soltanto a soggetti ben determinati e non alla generalità degli aspiranti che sarebbero in possesso dei requisiti di professionalità richiesti per il ruolo da ricoprire, tanto in base alla disciplina previgente, quanto in base a quella che lo stesso D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 59 vorrebbe introdurre a regime- e non è sorretta dai presupposti necessari per legittimarla. La procedura in esame appare in primo luogo istituita in assenza delle peculiari ragioni di interesse pubblico richieste per giustificarla. In proposito, è sufficiente richiamare il modo in cui è determinata la platea dei possibili partecipanti. Nel sistema attuale, infatti, il possesso, ovvero il mancato possesso, di un’abilitazione all’insegnamento dipende da circostanze non legate al merito, ma soltanto casuali, ovvero in sintesi estrema dall’essersi o no trovati, per ragioni anagrafiche, o di residenza, nella posizione di poter partecipare ad uno dei percorsi abilitanti ordinari di cui si è detto, ovvero dall’avere o no potuto frequentare una SSIS ovvero un TFA, ovvero ancora dall’avere potuto usufruire di un PAS, legato quest’ultimo ad una circostanza ulteriore a sua volta casuale, ovvero all’avere o no prestato servizio come docente precario. Per le stesse ragioni, ovvero la selezione degli aventi titolo in base a criterio sostanzialmente casuale, non è garantito il rispetto del criterio del merito. Non si potrebbe infine ritenere che tale tipo di procedura sia legittimata dall’intento di stabilizzare il precariato, argomentando dalla parte finale del comma 3 dell’art. 17, che nel prevedere l’ulteriore restrizione all’accesso al concorso, dichiarata illegittima dalla Corte con la sentenza n. 251 del 2017, la giustifica con il “fine di superare il precariato e ridurre il ricorso ai contratti a termine”. Essa è infatti prevista all’interno del sistema ordinario di reclutamento e, come ritenuto dalla citata sentenza n. 251 del 2017, presuppone che l’emergenza relativa sia superata, o per lo meno sia stata affrontata con gli interventi legislativi precedenti, ovvero con il piano straordinario di assunzioni di cui all’art. 1, commi 108 e seguenti, l. 13 luglio 2015, n. 107.
"E’ rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 51 e 97, ultimo comma, Cost., la questione di legittimità costituzionale del comma 2, lett. b), e del comma 3 dell’art. 17, D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 59, nella parte in cui non consente la partecipazione per l’accesso ai ruoli dei docenti della scuola secondaria riservato ai soggetti previsti dalle norme in questione anche a coloro i quali abbiano conseguito il dottorato di ricerca di cui all’art. 4, comma 1, l. 3 luglio 1998, n. 210 in materia coerente con la classe di concorso per la quale concorrono".
Il Collegio dubita che sia conforme a ragionevolezza, e quindi all’art. 3 Cost., la disparità di trattamento fra i soggetti di cui al comma 3 dell’art. 17, D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 59 e i dottori di ricerca. Il dottorato di ricerca, infatti, rappresenta il più alto titolo di studio previsto dal nostro ordinamento, poiché - come previsto dall’art. 4, comma 1, l. 3 luglio 1998, n. 210, che gli ha conferito l’assetto attuale- fornisce “le competenze necessarie per esercitare … attività di ricerca di alta qualificazione”. Al di là poi di tale dichiarazione di principio, il dottorato, ovvero la semplice frequenza al relativo corso, abilita all’insegnamento presso le università, ovvero presso il corso di istruzione immediatamente superiore alla scuola secondaria, ai sensi dell’art. 4, comma 8, l. 3 luglio 1998, n. 210, per cui “Le università possono, in base ad apposito regolamento, affidare ai dottorandi di ricerca una limitata attività didattica sussidiaria o integrativa che non deve in ogni caso compromettere l'attività di formazione alla ricerca”. E’ del tutto evidente che le limitazioni previste da tale norma sono dettate unicamente dalla necessità che il tempo dedicato alla docenza non vada a discapito della ricerca, cui il dottorando deve per definizione dedicarsi, e non denotano in alcun modo un livello inferiore della docenza impartita dal dottorando stesso. Appare pertanto illogico che nel più, ovvero l’abilitazione all’insegnamento nell’università, istituzione di grado superiore, non sia compreso il meno, ovvero l’abilitazione all’insegnamento della stessa materia nell’istituzione di grado inferiore, ovvero la scuola superiore.