A dirlo è il Consiglio di Stato che con sentenza n. 5384 del 27 settembre 2011 ha sottolineato che il provvedimento di accettazione delle dimissioni (rispetto al quale la volontà del dipendente rappresenta soltanto il presupposto) ha carattere costitutivo, con conseguente effetto estintivo del rapporto di pubblico impiego al momento della sua adozione.
Ne consegue che la volontà del dipendente dimissionario di revocare le dimissioni, manifestata nella domanda di revoca presentata successivamente all’accettazione delle dimissioni, è irrilevante per l’Amministrazione che non ha alcun obbligo di provvedere su una richiesta inammissibile, in quanto intervenuta quando si è già prodotto l’effetto estintivo del rapporto di impiego.
Inoltre, nel caso di specie, l’anzidetto effetto estintivo si è prodotto indipendentemente dal fatto che le dimissioni volontarie fossero subordinate alla mancata concessione di un periodo di aspettativa per motivi familiari, atteso che il ricorrente aveva subordinato l’efficacia delle dimissioni incondizionatamente al diniego di aspettativa.
A tale proposito, il Consiglio di Stato ha ribadito che l’istituto dell’aspettativa per motivi di famiglia – in quanto diretto a soddisfare esigenze personali del dipendente attraverso l’interruzione delle prestazioni del servizio – è subordinato tanto alle esigenze generali dell’amministrazione, quanto a quelle specifiche del servizio, sicché il dipendente non vanta alcun diritto alla concessione dell’aspettativa, ma soltanto un interesse da valutarsi discrezionalmente dall’amministrazione.
Pertanto, atteso che l’Amministrazione ha giustificato la propria determinazione negativa proprio con riferimento a specifiche esigenze del servizio e a ragioni organizzative del tutto ragionevoli e quindi non sindacabili, il diniego di aspettativa è da considerarsi legittimo.