Dai dati raccolti dalla Banca d’Italia nell’indagine sul livello di informatizzazione degli Enti Territoriali (Banca d’Italia, 2021) emerge che tra gli enti locali, circa il 95% ha adottato misure di smart working, con differenze significative nel grado di estensione legate in primo luogo alla tipologia di ente e quindi alle funzioni da svolgere e al loro grado di telelavorabilità.
A parità di funzioni, ulteriori differenze sono legate alla composizione demografica e alle competenze della forza lavoro dell’ente e, in misura minore, alle dotazioni informatiche disponibili.
Inoltre, secondo i dati della Rilevazione delle Forze di Lavoro (RFL) relativi al secondo trimestre del 2020, i mesi in cui le misure adottate per contenere la pandemia sono state più severe, la percentuale di lavoratori pubblici che ha svolto le proprie mansioni da casa almeno una volta nella settimana di riferimento è stata pari al 33%.
Nella PA in senso stretto la percentuale di dipendenti che ha lavorato da casa almeno una volta nella settimana di riferimento è stata del 30%, la quota è stata simile nei servizi sociali non residenziali (ad esempio, gli asili nido e l’assistenza diurna ai disabili, 27%) ed è stata pari a circa il doppio nel settore dell’istruzione (59%).
Il ricorso al lavoro da casa è stato decisamente inferiore nella sanità (6%) e nei servizi sociali di tipo residenziale (ad esempio le case di riposo per anziani che non forniscono servizi infermieristici, 6%), nonostante che anche in questi settori vi sia stato un aumento significativo. In media, a fronte di un potenziale di smart working nei servizi pubblici pari a circa il 36%, l’utilizzo effettivo nei mesi della pandemia è stato del 33%.
In alcuni casi si sono riscontrate però differenze significative tra il tasso di telelavorabilità potenziale e l’effettivo ricorso allo smart working durante la pandemia: nella PA in senso stretto, in particolare, lo smart working avrebbe potuto essere più pervasivo con un tasso potenziale pari al 53% e un utilizzo effettivo di appena il 30%.
Al contrario, il potenziale di telelavorabilità è stato superato nel settore dell’istruzione e nei servizi sociali non residenziali.