Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono rilevanti:
- a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;
- b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;
- c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore;
- d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.
Questi gli elementi evidenziati dalla Cassazione (sertenza n. 87 del 10/01/2012) per ravvisare il mobbing durante il rapporto di lavoro.
Inoltre, da costante giurisprudenza, la Suprema Corte ha evidenziato che la sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata - sulla base di una valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi - considerando l’idoneità offensiva della condotta del datore di lavoro, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa, anche in assenza della violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato.
L’apprezzamento circa la sussistenza, in concreto, degli estremi del mobbing, secondo i parametri sopra delineati, costituisce una valutazione di merito che, ove basata su motivazione adeguata e priva di vizi logici, sfugge al sindacato di legittimità.