La Corte di Cassazione torna ad occuparsi di un caso di dipendente licenziato perché durante l’assenza per malattia svolgeva un’altra attività lavorativa.
Come in altri casi analoghi, la sentenza n. 586 del 15/01/2016 dà ragione al datore di lavoro e dichiara la legittimità del licenziamento.
Nella specie, il lavoratore era stato licenziato a seguito di contestazione disciplinare relativa allo svolgimento di attività lavorativa in favore di terzi in costanza di assenza per malattia.
Secondo il dipendente, che aveva impugnato il licenziamento, il recesso aziendale era da ritenersi illegittimo sotto vari profili e comunque privo di giusta causa, essendo egli affetto da uno stato patologico tale che gli consentiva di uscire in qualunque ora del giorno mentre in ogni caso, anche ammesso che si recasse nell’esercizio commerciale (bar) gestito dalla di lui moglie, non vi era la prova che egli avesse svolto attività lavorativa in favore della coniuge all'interno del bar.
Il Tribunale prima e la Corte d’appello poi hanno però respinto il ricorso, ritenendo legittima la procedura di irrogazione della sanzione posta in essere dal datore di lavoro.
Le decisioni dei Giudici sono state confermate dalla Cassazione, constatando innanzitutto che dalla relazione dell’investigatore incaricato dal datore di lavoro e dalla relativa deposizione testimoniale era emersa la prova dello svolgimento, costante e non episodico, di attività lavorativa presso l'esercizio commerciale della moglie da parte del ricorrente.
Non sono stati neanche accolti i motivi che miravano ad un diverso apprezzamento dei fatti, in particolare circa la particolarità della patologia sofferta e la sua compatibilità con lo svolgimento di attività lavorativa non pesante. Essi sono stati ritenuti infondati laddove non consideravano che sarebbe stato onere del lavoratore dimostrare la compatibilità dell’attività lavorativa svolta in favore di terzi con l'infermità determinante l'assenza dal lavoro e col recupero delle energie lavorative.
Neanche il richiamo ad una precedente sentenza della Cassazione (n. 6375/2011) è stato considerato attinente, perché in quel caso si trattava dello svolgimento, da parte del lavoratore assente per malattia, dei normali atti della vita quotidiana, con espressa esclusione dell'attività lavorativa presso terzi.
Così come è risultato inconferente, per la Cassazione, il richiamo alla sentenza n. 4237/2015, la quale, oltre a ribadire che grava sul lavoratore assente per malattia l'onere di dimostrare la compatibilità del lavoro nelle more svolto presso terzi con l'infermità denunciata, e la sua inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie psicofisiche, ha sottolineato che le relative valutazioni sono riservate al giudice del merito; tra l’altro, quest’ultima sentenza riguardava il caso di lavoratore infortunato e non ammalato (laddove solo la malattia comporta, in via generale, una impossibilità di attendere all'attività lavorativa), ed era stato dimostrato che l'attività lavorativa svolta durante la malattia presso terzi non avesse pregiudicato la sua guarigione.