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Perché sia configurabile il reato di cui all’art. 572 c.p., occorre un rapporto tra soggetto agente e soggetti passivi caratterizzato da un potere autoritativo esercitato, di fatto o di diritto, dal primo sui secondi. Tale situazione è tradizionalmente confinata nell'ambito familiare (rapporti marito-moglie, tra conviventi, tra figli e genitori) e successivamente estesa con il vigente codice anche ai rapporti educativi di istruzione, cura, vigilanza e custodia o a quelli che si instaurano nell'ambito del rapporto di lavoro.

A ribadirlo è la Corte di Cassazione, VI sezione penale, che con la sentenza n. 44803 del 21 dicembre 2010 ha definito come violenza privata (e non come mobbing o maltrattamenti in famiglia di cui al citato art. 572 c.p.) la condotta vessatoria e denigratoria di un capo-officina nei confronti di un meccanico.

Per la Cassazione, con riferimento a tale rapporto, occorre che il soggetto agente versi in una posizione di supremazia non solo formale ma sostanziale che si traduca nell'esercizio di un potere direttivo o disciplinare tale da rendere specularmente ipotizzabile una apprezzabile soggezione, anche di natura meramente morale e psicologica del soggetto passivo ad opera di quello attivo.

Nella specie, non è configurabile il reato contestato, considerato che dagli atti e dalle prove, nonostante la ripetitività della condotta vessatoria, non sembra potersi riconoscere quell'apprezzabile e determinante nesso di vera a propria "supremazia-soggezione" tra il soggetto passivo e quello attivo, tanto da assimilarne i caratteri peculiari alle situazioni tipicamente a carattere familiare (ad esempio tra colf e persone della famiglia, ovvero tra mastro d’arte ed apprendista in un contesto di stabilità e non di occasionalità di rapporto).

Per la Suprema Corte sembra piuttosto configurabile il reato di violenza privata continuata aggravata ex art. 61 n. II c.p..

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