Una recente sentenza della Corte di Giustizia Europea (n. C-595/12 pubblicata il 6 marzo 2014) si è pronunciata in tema di parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro, pervenendo alla conclusione, peraltro enunciata dall'art. 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/54 del Parlamento e del Consiglio europeo, che "un trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità costituisce una discriminazione basata sul sesso". Pertanto, le discriminazioni dirette o indirette sono vietate per quanto riguarda le condizioni di accesso a lavoro, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, l’accesso a tutti i tipi e a tutti i livelli di orientamento professionale, formazione, perfezionamento e riqualificazione professionali, nonché l’esperienza professionale, le condizioni di occupazione e di lavoro e la partecipazione ad un’organizzazione rappresentativa di lavoratori o simili.
L'art. 15 della stessa direttiva dispone inoltre che “Alla fine del periodo di congedo per maternità, la donna ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli, e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza.”
Nel caso in questione, sottoposto dal Tar del Lazio al vaglio della Corte Europea, una dipendente del Ministero di Giustizia era stata esclusa da un corso di formazione utile per un avanzamento di carriera, in quanto assente in congedo obbligatorio di maternità.
Secondo il Tar del Lazio, la dipendente pubblica "subirebbe un pregiudizio, conseguente alla maternità, che la porrebbe in condizione deteriore rispetto ai colleghi di sesso maschile vincitori del medesimo concorso ed ammessi al corso di formazione originario". Lo stesso tribunale ha anche aggiunto che “il diritto, riconosciuto alla lavoratrice esclusa da un primo corso a seguito di un congedo di maternità, di essere ammessa al corso successivo, non obbliga l’amministrazione interessata a organizzare tale corso.. Di conseguenza, poiché potrebbero trascorrere molti anni tra un corso e il corso successivo, la facoltà per detta lavoratrice di frequentare un altro corso sarebbe incerta, con l’effetto che il pregiudizio da lei patito rischierebbe di assumere gravi dimensioni”.
Queste le conclusioni cui è giunta la Corte di Giustizia Europea:
- L’articolo 15 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che, per motivi di interesse pubblico, esclude una donna in congedo di maternità da un corso di formazione professionale inerente al suo impiego ed obbligatorio per poter ottenere la nomina definitiva in ruolo e beneficiare di condizioni d’impiego migliori, pur garantendole il diritto di partecipare a un corso di formazione successivo, del quale tuttavia resta incerto il periodo di svolgimento.
- L’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2006/54 non si applica a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che non riserva una determinata attività ai soli lavoratori di sesso maschile, ma ritarda l’accesso a tale attività da parte delle lavoratrici che non abbiano potuto giovarsi di una formazione professionale completa a causa di un congedo di maternità obbligatorio.
- Le disposizioni degli articoli 14, paragrafo 1, lettera c), e 15 della direttiva 2006/54 sono sufficientemente chiare, precise e incondizionate da poter produrre un effetto diretto.